giovedì 14 agosto 2008

Meriggiare pallido e assorto…

Cosa rende una giornata di vacanza più insopportabile di un giorno di lavoro di quelli senza tregua? Le mamme italiane al mare. Uno ingenuamente pensa di andare la mattina o la sera, quando sulla spiaggia crede di trovare solo silenziose e sorridenti famigliole con i bimbi piccoli in cerca di quiete e riposo. Nulla di più lontano dalla verità. In queste ore il mare è popolato quasi esclusivamente da mostri.
Già l’arrivo avrebbe dovuto comunicarmi qualcosa, mettermi in guardia sui possibili sviluppi. Infatti, subito dopo essere scesa dalla macchina, nel grande parcheggio erboso a ridosso degli stabilimenti balneari, mi imbatto in una signora sulla sessantina, capelli rosso pantera d’altri tempi tenuti fermi da un fiore ritahaword, leopardata anzichenò, accucciata tra le macchine a fare la pipì. Dal suo sguardo serafico e da un’ espressione fanciullesca, mi rendo conto che l’imbarazzo è più il mio che il suo. Come volesse dire con candida ingenuità “fatta!” si alza, si sistema e mi passa davanti in un ciabattare di zoccoli ruggenti.

Finalmente in spiaggia, asciugamano, strategicamente oltremisura, così evito vicinanze forzate, cappello, occhiali, giornali, libro, non prima però di un bagno, quando in acqua ci sono poche persone. È un sogno, ho già la malinconia di quando rimpiangerò questi paesaggi, di colline verdi che arrivano sul mare, e di montagne bianche e altre colline che sembrano voler proteggere questa stretta pianura che arriva sul mare. Bene, penso che inizierò a leggere qualcosa che mi porterà a chiudere pian piano gli occhi, e a riaddormentarmi. Non so quanto sia passato dal mio stato di sonnolenza a una serie indistinta di voci fastidiose che entravano senza chiedere permesso nella mia testa. “Looooooooooorenzooooooooooo, esci fuori dall’acquaaaaaaaaaaaaa” “Miiiiiiiiiiiisceeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeel lascia stare il bambino” “Deeeeeeeeeniiiiiiiiiiiiiiiiise non bagnarti” “Criiiiiiiiiiiistiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaan vieni a mangiare la brioscheeeeeeeeeeeeeeeeeee” “Azzuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuurraaaaaaaaaaaaa mettiti il cappellino che c’è il sole”.
Mio malgrado apro gli occhi, e mi immergo nella lettura. Ma è impossibile concentrarsi anche solo per capire gli ultimi intrecci sentimentali del jet set nostrano. Mi sfugge se è la nipote di agnelli che si è fidanzata con un qualche principe, o la principessa di monaco, la nuova generazione, che si è fidanzata e si sposa con un giovane imprenditore. Eh che diamine. “Caaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarloooooooooooooootta dove vaaaaaaai?” “Nicoooooooooooooooooooooooooooooooooooole vieni sotto all’ombrellone” “Maaaaaaaaaaaaaaaartiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin vieni via da lì, non farmi alzare”. È proprio questo il problema delle mamme italiane, che non vogliono alzarsi, e urlano. Urlano le mamme e in risposta urlano i bambini. Rendendo faticosa quella che dovrebbe essere una piacevole giornata al mare.

martedì 12 agosto 2008

Precious Ramotswe

Precious Ramotswe è stato un regalo che mi sono fatta qualche tempo fa in libreria.
Inventata dallo scrittore africano-inglese Alexander McCall Smith, Precious è una detective privata che vive a Gaborone, titolare dell’unica nonché prima agenzia investigativa del paese, nelle sue indagini, con sguardo benevolo e a volte critico, mette sotto la lente d’ingrandimento i ritmi, le abitudini, le tradizioni, i vizi e le virtù di uno di quei paesi che molti in Italia chiamano, con la superiorità tipica di quello che fu l’uomo bianco, Terzo mondo.
Lettura lieve, veloce e gradevole le storie di Precious, nella loro semplicità, in realtà, sono ricche di suggestioni degne di riflessioni.
“Nel Botswana, tutte le case di Zebra drive, e più in generale tutte le case con più di due camere da letto, avevano una domestica. Esistevano leggi che stabilivano la paga per gli aiuti domestici, ma spesso venivano aggirate. C’erano persone che trattavano malissimo i loro servitori, li pagavano pochissimo e pretendevano di farli lavorare tutto il giorno e, per quel che sapeva la signora Ramotswe, queste persone erano la maggioranza. Quello era il alto oscuro del Botswana, lo sfruttamento di cui nessuno parlava volentieri. Di sicuro nessuno parlava volentieri di com’erano stati trattati i Masarwa in passato, come veri e propri schiavi….così come esistevano ancora innumerevoli africani che lavoravano per una miseria in condizioni di semischiavitù. Si trattava di persone tranquille, deboli, e fra loro c’erano i domestici. La signora Ramotswe non si capacitava che una persona potesse comportarsi tanto crudelmente con i domestici. Lei stessa si era trovata in casa di un’amica che le aveva raccontato, con la massima noncuranza, che la sua cameriera aveva cinque giorni di vacanze all’anno, e non pagati. Quest’amica si vantava di essere riuscita a diminuire la paga della cameriera, perché la trovava un po’ pigra.
“E perché non se ne va, se le hai fatto questo?” aveva chiesto la signora Ramotswe.
L’amica aveva riso.
“E dove? C’è la fila per farsi assumere al posto suo, e lo sa. Sa che potrei trovare qualcuno disposto a fare a fare il suo lavoro per la metà di quello che prende lei.”
La signora Ramotswe non aveva obiettato niente, ma aveva troncato l’amicizia in quel preciso istante. E aveva a lungo riflettuto sulla cosa.” (Morale e belle ragazze – I casi di Precious Ramotswe la detective n°1 del Botswana. Edizione Tea, pagg 82-83)
Anche a me è successo di riflettere a lungo sulla cosa, e ancora non riesco a capire quale e dove sia la linea di confine tra il primo e il terzo mondo.

lunedì 11 agosto 2008

Vacanze

Le vacanze, intese come inattività lavorativa, offrono l’opportunità di affrontare tutto ciò che durante il normale correre delle giornate, scandite dagli orari di entrata e uscita dall’ufficio, viene sacrificato. Questa mattina, infatti, mi sono svegliata con una domanda in testa: i peli sono per tutta la vita o sono solo un accadimento temporaneo?
Tanti gli argomenti che hanno fatto germogliare questa mia riflessione mattutina. In primis, i risultati poco soddisfacenti di una dolorosissima e appiccicosa ceretta, fatta poco più di due settimane orsono; mentre stavo prendendo il sole ho visto che era ricresciuto qualche, per la verità molto pochi, pelo sulle gambe. AARRRGGGGGHHHH. Datemi una pinzetta e vi …. toglierò dal mondo. Dopo la terribile scoperta, nel pomeriggio, è capitato che mi cadesse ripetutamente lo sguardo sul labro superiore di quella che è stata rinominata zia Tzunami, pieno di peli bianchi che parevano così ispidi da poter usare, senza dubbio alcuno sull’esito del risultato, come abrasivo. Per stemperare la visione, non proprio tenera, ogni tanto abbassavo lo sguardo sulle gambe di mia mamma, fortunata lei, completamente glabre, senza un pelo a cercarlo con la lente d’ingrandimento. Praticamente si prospettava davanti ai mie occhi, cioè che avrei voluto sempre essere, e ciò che mi auguro di non dover mai essere.
Per finire, a una certa ora della notte, tra le note stonate e stentate di un cantante di balera di periferia, mi sono ritrovata a parlare di depilazione al laser, che ho scoperto essere un po’ dolorosa e non definitiva, perché volente o nolente, soprattutto in estate quando non ci sono motivi per indossare collant 100 denari, un colpo di ceretta o alla disperata un colpo di gilette, è il caso di darglielo.