martedì 10 novembre 2009

Momenti importanti

Nella vita di qualsiasi donna esistono dei momenti che segneranno la sua vita per sempre: il primo innamoramento, il giorno del menarca, il primo bacio, il giorno della tesi di laurea, la nascita di un figlio, il matrimonio, ecc.
Tra questi passaggi fondamentali della crescita femminile, io inserirei un altro evento topico, da molti forse sottovalutato, ma che racchiude in se diversi significati e retroscena: il rinnovo del parco mutande.
Eh sì, arriva un giorno nella vita della donna in cui si ha la percezione che qualcosa non va (insoddisfazione, aspettative disattese, nervosismo), e rovistando nel contenitore della biancheria intima, la donna, improvvisamente, prende atto che quel qualcosa è proprio racchiuso lì. Mutande slabbrate, pizzi mezzi scuciti, elastici più fragili di un buon proposito di dieta, bianchi non proprio più bianchi e colori che hanno perso il loro smalto, cuciture che hanno ceduto non solo alle lusinghe di un'eterna giovinezza, insomma una vera e propria disfatta cui è opportuno porre rimedio.

Come dicevo però il momento topico non è tanto la presa d'atto del problema ma la risoluzione vera e propria, la fase successiva, e cioè l'acquisto. Innanzi tutto il primo vero rospo da mandar giù è la consapevolezza della taglia giusta, perché l'usura aveva reso indulgenti e confortevoli le care e vecchie mutande: sarò quindi sempre una S (o prima) o sarò, dio non voglia, lievitata a M (seconda o terza)? la seconda eventualità potrebbe essere un valido deterrente per convincere anche la donna più coraggiosa a finire i suoi giorni con la biancheria che ha in dote. Altra remora da superare sono i ricordi legati ad eventuali regali di persone care: completini regalati dal fidanzato del liceo, mutandoni regalati dalla mamma, perizomi regalati per commemorare un felice compleanno. In primis perchè il fidanzato del liceo veleggia soddisfatto e completamente dimentico del passato al suo secondo matrimonio, quindi i mutandoni della mamma risalgono al periodo bohemien quando con sottili messaggi cercava di dare modelli di comportamento più conservatori, e i perizomi...

Ecco, iniziamo proprio dai perizomi, divieto assoluto d'acquisto per i perizomi a meno che il fondoschiena e l'attacco della coscia non siano simili a quelli di Eva Erzigova, in tutti gli altri casi sono da evitare perché creano dei bruttissimi appiattimenti e allargamenti nella zona critica, in poche parole trasformano tutte le altre non-dee in culone e prosciuttone. Da osare e usare con cautela anche i pizzi per evitare l'effetto moulin rouge, messalina o escort di seconda scelta. I pizzi hanno infatti due difetti sostanziali: quelli da pochi soldi sono acrilici a rischio incendio, un po' duri, dozzinali e poco sensuali, mentre quelli eleganti, morbidi, e sensualmente sobri costano tantissimo. Personalmente eviterei anche quelle mutande stile teenager finta ingenua (con gattini ammicanti, orsacchiotti coccolosi, o scritte vorreimanonposso), perché dopo i venti anni andare in giro con quelle cose sotto ai vestiti è veramente imbarazzante, e poi perché quel tipo di ingenuità ai nostri giorni è indicata solo alle bambine sino alla terza asilo. Detto ciò si possono tranquillamente evitare anche le mutande con la pancera nelle varie sfumature antistupro, e il mutandone bianco o nero con elastico alto e sgambatura sghemba, in grado di però resistere alle sperimentazioni nucleari di Ahmadinejad.

In conclusione, anche in questa come in tante altre circostanze della vita bisognerà giungere a qualche compromesso e procedere a vista, l'importante è però andare avanti con un po' di buon gusto, senso della misura e tanto autosenso critico.

martedì 3 novembre 2009

Paure e pregiudizi

Ha voglia a dire il vice ministro alla salute, Ferruccio Fazio, che la pandemia è lieve, ha sintomi leggeri e fa poche vittime rispetto agli altri paesi d'Europa e rispetto alla normale influenza (l'ultima epidemia influenzale in Italia pare abbia provocato 8 mila decessi). La gente però ha paura. Qualche settimana fa mi era stato detto che era stato preso d'assalto e pertanto quasi introvabile quella sorta di gel disinfettante per le mani, mentre da un pò di tempo ho fatto caso che sugli autobus è pubblicizzato un sapone che aiuterebbe a rendere più sicura la salute dei consumatori. In questi giorni di pioggia invece mi capita spesso mio malgrado di prendere la metropolitana e mi sono accorta che ogni minimo cenno di colpo di tosse o uno sporadico starnuto mezzo trattenuto è accolto come l'apparizione di un untore manzoniano. Sebbene lo spazio sia limitatissimo, come sempre accade nelle ore di punta, si creano delle isole di vuoto attorno "all'appestato", o si può assistere a correnti migratorie di passeggeri da un vagone all'altro. Questa mattina sono rimasti liberi ben 3 posti a sedere, nonostante le persone fossero stipate anche sopra i corrimano, perché un omino con il cappello ha fatto ben tre starnuti di seguito.

Sempre a proposito di metropolitane e di stili di vita, sto rimuginando da un paio di giorni sui miei pregiudizi. L'evento scatenante è stato un episodio di per se stesso banale: famigliola di tre persone, mamma babbo e bambino piccolo con un ciambella in mano che scivola per terra, sul pavimento della metropolitana, per una frenata non proprio morbida. La mamma la raccoglie e la tiene in mano intenzionata a gettarla, ma il bambino inizia a frignare e fare capricci, quindi dopo una breve e movimentata consultazione con il padre, la ciambella viene riconsegnata nelle mani della creatura che tutto soddisfatto se la addenta. Osservando la scena ho pensato che era un comportamento un po' spartano, della serie ciò che non strozza ingrassa, e ho detto alla persona che era con me "però sti nordici, sono proprio discendenti dei vichinghi, hai visto come allevano i loro bambini". Solo mentre stavamo scendendo, mi sono resa conto che non erano stranieri, venuti dal nord (se devo essere sincera, e qui mi cospargo il capo di cenere credevo fossero dell'est europa), ma italiani. Mi è capitato spesso in questi giorni di pensare a questa mia affermazione così carica di pregiudizi nei confronti di chi esce dalle solite linee guida del "normale" comportamento e attribuire agli altri eventuali anomalie. Dovrò intraprendere un processo di auto-educazione.

lunedì 19 ottobre 2009

Pubblicità: anima del commercio

Le foto del primo ministro Silvio Berlusconi in compagnia di giovani donne in topless potrebbero presto comparire in Israele come parte di una campagna pubblicitaria tesa a far conoscere alberghi e ristoranti nella zona di Tel Aviv. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, al fotografo Antonello Zappadu, diventato famoso per aver lasciato alla storia le immagini del cav. in mezzo a donne mezze nude (in the company of half-naked female guests) nella sua Villa Certosa in Costa Smeralda, “una importantissima agenzia pubblicitaria” gli avrebbe chiesto i diritti delle foto per la sua campagna promozionale. “Devo ammettere – ha commentato Zapaddu - che il pensiero di Berlusconi e Topolanek nudi sui manifesti di Tel Aviv mi fa sorridere”. Sono curiosa di vedere la campagna pubblicitaria, perché descritta così non sembra molto invitante; ma è risaputo che i pubblicitari ne conoscano una più del diavolo.

venerdì 16 ottobre 2009

Strane abitudini

Ho fatto caso che da un po’ di tempo, non saprei dire di preciso quanto, qui in ufficio le persone sono solite andare in bagno mentre parlano al cellulare. Insomma l’interlocutore telefonico viene messo al corrente, non solo delle informazioni per cui è stata fatta la telefonata, ma anche della produzione fisiologica del momento. E nel caso dall’altra parte del telefono persistessero dubbi sulla natura dei rumori, la telefonata continua anche durante lo sciacquone e, quando c’è, la lavata di mani. Il cellulare ha fatto così superare le ultime remore borghesi del pudore. Non occorre più pronunciare le parole urina, pipì, minzione, piscio, svuotamento della vescica, oggi è possibile ascoltarle in diretta.

mercoledì 14 ottobre 2009

Foto


Mi è stato detto che un tempo nel blog mettevo più foto. Colta da un momento di vanità ho deciso di pubblicare una mia foto mentre svolgo l'attività che più mi piace: fare domande.

Un lungo post febbricitante e sconclusionato

Primi freddi, prima febbre, un’equazione inevitabile. Ovviamente accompagnata da mal di gola, mal di orecchie, e prodromi di un raffreddore, che si manifesta con una continua e fastidiosa goccia al naso. Spero solo che non sia l’influenza maialina.

Comunque nonostante la febbre, sto cercando di lavorare e provo a trovare un filo logico nella situazione frenetica di questi giorni. Mi sto applicando a gestire e coordinare delle interviste, che hanno come protagonisti diversi interlocutori, ma che sono tutte inerenti allo stesso argomento. Insomma è come se dovessi chiedere ai tifosi delle varie squadre di calcio di parlarmi di calcio e della loro squadra.

Il primo contatto avviene attraverso uffici stampa e portavoci, quindi preparo l’intervista, la spedisco e vengo ricontatta da uffici stampa e portavoci, che di solito mi chiedono di eliminare questa o quella domanda, e di aggiungere un qualcosa, il più delle volte si tratta di dare ampia visibilità a iniziative risibili che però dovrebbero dare prova di quanto sia bravo l’intervistato.

In genere mi scoccio un po’ a fare questo tipo di lavoro, preferisco preparare l’intervista e non avere contatti con tutta la corte dei porta qualcosa, però oggi mi sto divertendo. Sarà per colpa della febbre alta sto facendo una confusione tra nomi, interlocutori e relative interviste, e così il più delle volte le interviste hanno un che di paradossale. Tanto paradossale che mi sono accorta che è sufficiente preparare un’intervista per un interlocutore e mettere per iscritto l’esatto opposto per il suo avversario; convincere una persona a parlare dicendogli che il suo diretto oppositore ha già registrato l’intervista.

Arrivando al punto di questo sconclusionato e febbricitante post, trovo sia veramente ridicola la voglia di apparire che pervade quest’epoca storica, soprattutto quando l’apparire è associato al nulla (cioè ti intervisto solo perché hai una qualche carica istituzionale, che però non meriteresti), o allo screditare qualcuno.

lunedì 12 ottobre 2009

Allarmi

Si è sparsa la voce che tra qualche ora il paese sarà colpito da un'improvvisa, inaspettata quanto insolita ondata di freddo.

Dal solito fronte balcanico, se fosse dal fronte africano questo sì sarebbe veramente insolito, si sta spingendo aria fredda che porterà un abbassamento delle temperature di oltre 10 gradi.

La prima a informarmi è stata mia mamma, che tutte i giorni fa scattare la radio-sveglia alle 6,30, e di primissima mattina mentre io cerco di rubare ancora qualche mezz'ora al sonno, lei conosce già tutte le notizie. E così all'allarme freddo, si è buttata, come dice lei, fuori dal letto, per mettere al riparo tutte le piante.

Dopo pranzo, l'allarme del prossimo e improvviso freddo si è diffuso in redazione a seguito alle profonde e accurate ricerche del commerciale (ufficio commerciale, ma siccome è uno solo mi fa ridere definirlo ufficio e resta direttamente l'aggettivo che sostantivizza), che ha tenuto a specificare che saranno giornate soleggiate ma freddissime.

Insomma da domani mattina sarà bene preparare calzettoni, sciarpe e berretti di lana.

domenica 11 ottobre 2009

Assenza (in)giustificata

Porto subito la giustificazione firmata:
Sono stata assente per motivi personali
cioè non ho avuto molto tempo a mia disposizione per scrivere,
perchè ho dovuto scrivere a cottimo
e il movimento ritmico sui tasti e il loro rumore
mi ha fatto venire il mal di mare, la nausea.

Però ho osservato, raccolto e immagazzinato
pensieri e idee che potranno essere utili durante il freddo.

Intanto ieri ho scoperto che un mio amico, non proprio amico-amico del genere che gli si racconta tutto e si cerca per parlare quando si ha bisogno di chiarirsi, comunque un amico si è lasciato con la fidanzata. Quello che è venuto dopo la notizia della separazione, un a sorta di spiegazione, è stata quasi divertente: "ha conosciuto uno che si chiama Dante, come posso competere con uno che si chiama Dante quando lei si chiama Beatrice".

Insomma a volte è meglio cambiare rotta, soprattutto quando nella vita ci si imbatte in Danti e Baetrici.

martedì 29 settembre 2009

I cattivi sono finiti in trappola

Questa sera Roma potrà fare sonni tranquilli, perchè dopo una caccia di almeno due giorni che ha coinvolto non so quante guardie forestali è stato catturato il serpente a sonagli che era stato avvistato nella pineta di Ostia e che aveva reso la città più insicura.

Piece of my heart

Di solito non mi capita di copiare poesie o canzone sul mio blog. In questi giorni, però, mi è capitato di ascoltare spesse volte una canzone di Janis Joplin che prima mi ha dato la carica per affrontare alcune situazioni, a partire dai 30 minuti di jogging, che una mattina mi sono svegliata e ho fatto così d’impulso. Poi però per così dire mi è entrata in testa creandomi un po’ di dipendenza. Forse potrei quindi evitare questa dipendenza musicale vedendo scritto il testo, pieno di parole come yeah, baby, come on, oh yes, feel good.

Oh, come on, come on, come on, come on!

Didn't I make you feel like you were the only man -yeah!
Didn't I give you nearly everything that a woman possibly can ?
Honey, you know I did!
And each time I tell myself that I, well I think I've had enough,
But I'm gonna show you, baby, that a woman can be tough.

I want you to come on, come on, come on, come on and take it,
Take it!
Take another little piece of my heart now, baby!
Oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart now, darling, yeah, yeah, yeah.
Oh, oh, have a!
Have another little piece of my heart now, baby,
You know you got it if it makes you feel good,
Oh, yes indeed.

You're out on the streets looking good,
And baby deep down in your heart I guess you know that it ain't right,
Never, never, never, never, never, never hear me when I cry at night,
Babe, I cry all the time!
And each time I tell myself that I, well I can't stand the pain,
But when you hold me in your arms, I'll sing it once again.

I'll say come on, come on, come on, come on and take it!
Take it!
Take another little piece of my heart now, baby.
Oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart now, darling, yeah,
Oh, oh, have a!
Have another little piece of my heart now, baby,
You know you got it, child, if it makes you feel good.

I need you to come on, come on, come on, come on and take it,
Take it!
Take another little piece of my heart now, baby!
oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart, now darling, yeah, c'mon now.
oh, oh, have a
Have another little piece of my heart now, baby.
You know you got it -whoahhhhh!!

Take it!
Take it! Take another little piece of my heart now, baby,
Oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart, now darling, yeah, yeah, yeah, yeah,
Oh, oh, have a another little piece of my heart now, baby, hey,
You know you got it, child, if it makes you feel good.

giovedì 24 settembre 2009

Sogni d’oro

É sempre interessante sfogliare - si fa per dire perché con internet ci si limita a lavorare di mouse e di tasti – i giornali e le riviste americane, così prodighi di buoni consigli informazioni di pubblica utilità. Questa mattina (imperdonabilmente mi sono copiata l’articolo senza però registrare la testata) comunque, questa mattina, da qualche parte in America qualcuno potrà leggere quali cibi mangiare la sera per favorire un buon sonno. Tolto il vecchio rimedio del bicchiere di latte caldo, che personalmente non riesco a digerire neppure di mattina, l’articolo propone gli otto migliori cibi che hanno il “best shut-eye remedy”, cioè che producono rilassamento chimico, calmano i nervi e rallentano l’attività del cervello.

Al primo posto, niente meno che i popcorn, quelli senza grassi aggiunti ovviamente, perché il burro o sedicente tale rallenterebbe la digestione, comunque mezz’ora prima di dormire un pacchetto di pop corn produce tanta serotonina da stendere uno schizofrenico. Come seconda opzione è consigliato uno zuppone di farina d’avena guarnito con fette di banane, una bomba di melatonina. Se proprio la farina d’avena non rientra tra gli ingredienti che si comprano con una certa frequenza, si può rimediare con la proposta classificata al terzo gradino del podio, una tazza di yogurt bianco con due cucchiai di noci e nocciole, in grado di arricchire il sangue di lisina e arginina, “ine” che aiuterebbero a combattere lo stress.

Il quarto cibo induci-sonno è il sesamo, e una manciata di sesamo la sera si trasforma in triptofano, da quel che mi pare di capire una sorta di roipnol potentissimo. Le proposte inserite dal quinto posto all’ottavo posto mi lasciano un tantino scettica, però non vorrei sembrare la solita cinica criticona. Quinto posto: una manciata di pretzels low fat, che a queste longitudini non sono uno degli snack più facilmente reperibili sul mercato, anche perché ne hanno fatto incetta le compagnie aeree, che li propongono nella scelta del dolce o salato, accompagnato al bicchiere di cocacola. Sesto posto: un bicchiere di vino; che dire? Abbassa la pressione. In mancanza del vino si può ovviare con un bicchiere di succo di ciliegia senza zucchero (settimo posto), bibita che tutti hanno nel frigorifero o nella dispensa per chi la preferisce a temperatura ambiente. Infine, e qui viene la chicca, il fiore all’occhiello della ricerca, alla faccia di quelli che dicono che la peperonata “torna sù”, i ricercatori dell’università dell’Alabama (forse lo stato americano produttore di peperoni) consigliano di mangiare peperoni rossi per ridurre il cortisolo, ormone che genera lo stress, e fare sogni d’oro.

Giovedi, terra di nessuno


A proposito dei giorni della settimana, secondo un mio ex collega il giovedì è un giorno “terra di nessuno”, che tradotto significherebbe, senza speranza, insomma quasi peggio del lunedì. Infatti lui proponeva questa chiave di lettura della settimana: il lunedì è scritto nei codici del lavoro è il giorno terribile per statuto, perché significa la ripresa del lavoro e delle scocciature rimaste in sospeso da venerdi sera; martedi si è rientrati in carreggiata, infondo a tutte le cose anche le peggiori si fa l’abitudine; mercoledì è il giorno del massimo rendimento, si è in volata; venerdì fa pregustare la pausa del sabato e della domenica, è un giorno di speranza dove tutto è più leggero. Rimane fuori però il giovedi, il fine settimana è ancora lontano, e i ritmi del martedi e del mercoledì hanno prosciugato l’energia creativa o lavorativa, morale: il giovedì è terra di nessuno, un far west, un assalto alla diligenza nel cuore della settimana.

lunedì 21 settembre 2009

Che fatica!

Sarà una banalità uno stereotipo e un clichè ma il lunedì mattina è proprio faticoso. Di solito nelle mattine che vanno dal martedì al giovedì, ho dei tempi di reazione che si aggirano sui 30 minuti, cioè i primi trenta minuti da che entro in redazione sono dedicati alla lettura di alcune rassegne stampa (che mi arrivano prestissimo intorno quelle di oggi era cronometrata 7,17, la qualcosa significa che chi le fa inizia a lavorare intorno alle 5,30) che mi aiutano a emergere e proiettarmi su quello che sarà dopo. Il venerdì, che ha uno status tutto particolare e ha un sapore simile a un’imminente amnistia, o alla festa della liberazione, i tempi di introduzione al daffarsi sono un po’ più rapidi intorno ai 15 minuti. Il lunedì invece, è una tragedia, il mio cervello non vuole proprio saperne di svegliarsi: ha il segno del cuscino stampato nell’area somoestetica, il sapore del sonno memorizzato nelle area sensoriale della parola, l’istinto di tirarsi sù le lenzuola nell’area prefrontale. Ma soprattutto ha il senso del terrore di una nuova e lunga settimana da venire, un indefinito amaro in bocca e contrazioni alla stomaco, che opprimono l’area del gusto.

giovedì 17 settembre 2009

Prepararsi all’inverno

Grandi e piccoli segnali preannunciano un inverno difficile. Ieri mi è arrivato via mail un invito a partecipare a un seminario per la diffusione di uno stile di vita di serena e conviviale decrescita dal titolo La saggezza della lumaca. “Le ‘lumache’ e i ‘lumachi’ desiderano portare alla luce un nuovo immaginario, fondato sul profondo senso di ringraziamento per la vita, edificato sull'incanto verso l'esistenza, reso forte e stabile grazie a valori come semplicità e qualità, collaborazione e convivialità, solidarietà e condivisione”. I punti di forza del seminario vertono dall’autoproduzione di beni al risparmio energetico, da un bene comune della salute al tempo liberato. Che dire? Io da quasi due settimane ho iniziato a costruire perline di terracotta(i risultati prima della cottura e della verniciatura finale mi sembrano veramente soddisfacenti)perchè ho intenzione di regalarle a natale infilate in bellissime collane.

mercoledì 16 settembre 2009

È giusto lavorare?

Sto procedendo, anche se con una certa indolenza, nella lettura di La schiuma dei giorni di Boris Vian, e dopo una discussione sul lavoro e sulle sue condizioni, proprio ieri sera nelle pagine del libro ho trovato una buona risposta.

“Ma ti sembra che sia colpa loro se pensano che lavorare è giusto?”

“No, disse Colin, non è colpa loro. Tutto dipende dal fatto che gli hanno detto : ‘il lavoro è sacro, è bello, è buono, è la cosa più importante, e solo chi lavora ha tutti i diritti’. Però poi si fa il possibile per farli lavorare continuamente, così che loro non hanno il tempo di far valere i propri diritti”.

“Allora vuoi dire che sono scemi?” chiese Chloè.

“Si, sono scemi, disse Colin. È per questo che sono d’accordo con quelli che gli raccontano che lavorare è il massimo. Questo li libera dal problema di pensare di cercare di migliorare e di non lavorare più”.

lunedì 14 settembre 2009

Ieri è arrivato l’autunno


D’improvviso qualcuno ha girato l’interruttore delle stagioni e zac è arrivato l’autunno. Che noia, le giornate si sono fatte sensibilmente più corte, e tuoni minacciosi lasciano presagire che probabilmente questa sera non arriverò a casa asciutta. Bisogna prepararsi al lungo periodo invernale, quasi quasi me ne andrei in letargo.

mercoledì 9 settembre 2009

Palestra

Oggi ho fatto una lezione di prova in una palestra. La mia prima, spero non ultima, lezione in palestra dai tempi dell’ora di educazione fisica al liceo. Avevo pensato di sfruttare la pausa pranzo, invece che mangiando di tutto e di più, per dare un tono al mio fisico ormai più vicino ai 40 che ai 30. Da dove iniziare? Dalle mie movenze scoordinate e approssimative? Dal senso del ritmo delle altre? Dagli adddominali dimenticati? Dalla riprovazione generale del mio panino al formaggio dopo un’ora di salti, gamba su, gamba giù, braccio avanti, braccio indietro? Magari passo dopo passo riporterò, se mai ce ne saranno, dei mie progressi e impressioni e suggestioni sulla varia umanità che popola la palestra – e in questo caso ho idea che ce saranno –. Inizierei così dall’istruttore, un certo Diego, che a occhio e croce direi straniero (ma sono sicura che dalle prossime volte direttamente dallo spogliatoio conoscerò non solo la nazionalità) che per un paio di volte ha cercato di correggere i miei movimenti, poi mi ha guardato negli occhi e mi ha fatto capire che sarà una battaglia contro i mulini a vento. Io da parte mia non volevo fare la figura della neofita trippardona e ho cercato di copiare i suoi movimenti e di ascoltare le sue indicazioni, ma i primi erano troppo veloci e complicati – una sorta di coreografia che però tutte conoscevano a menadito, mentre io ero sempre con la gamba sbagliata, destra al posto della sinistra e viceversa, in terribile affanno per recuperare – i secondi invece erano incomprensibile per la musica che in confronto quella di un rave è una leggera brezza. E terminerei invece con il dopo, le gambe sono diventate di legno, anzi di gesso, perché il legno ha una certa seppur minima elasticità, e credo di non essere più in grado di fare una rampa di scale; non sento più le braccia (mi sto chiedendo come riescano le mie dita a battere sulla tastiera del computer) e credo anche di aver disimparato a camminare, infatti le mie caviglie barcollano come quelle di un ubriaco (però tutta salute). Quello che sta in mezzo tra l’istruttore e il dopo palestra, lo riserverò ai prossimi giorni, sia perché devo riprendermi sperando che un po’ di sangue torni a portare vita al cervello, sia perché non ho ancora le idee ben chiare se sia stato un viaggio dalla terra alla luna, un incubo o come era scritto sull’orario: lezione step.

lunedì 7 settembre 2009

Abiti indecenti

Avevo scritto di Lubna il cinque agosto in occasione del rinvio del processo. Oggi 7 settembre riprenderà a Khartoum il processo alla giornalista sudanese Loubna Ahmed al-Hussein, che potrebbe essere condannata a 40 frustate per avere indossato un abbigliamento considerato indecente: un paio di pantaloni. Dieci delle donne fermate con lei sono state successivamente convocate dalla polizia e frustate dieci volte ciascuna. Loubna Ahmed al-Hussein avrebbe potuto subire una sorte simile, ma ha contestato le accuse ed ha iniziato una campagna pubblica per abolire una legge che vieta a chiunque di indossare abiti "indecenti". L'articolo 152 del Codice penale sudanese del 1991, entrato in vigore due anni dopo il colpo di stato dell'attuale presidente Omar al Beshir, prevede una pena massima di 40 colpi di frusta per chiunque "commette un atto indecente o un atto che viola la moralità pubblica o porta abiti indecenti".

venerdì 4 settembre 2009

Riti apotropaici

Il presidente Usa Obama a detta della stampa americana avrebbe perso le sua aura magica, la sua prerogativa da eroe quasi mitologico. In un pezzo del Washington Post addirittura si insinua che Obama stia vivendo un periodo di crisi: “per un uomo abituato a essere una sorta di mito – scrive Charles Krauthammer – si tratta di una condizione molte difficile. Obama è diventato un politico come gli altri e per la prima volta appare mortale: difficilmente una persona dotata della sua straordinaria autostima riuscirà ad adattarsi a questa trasformazione”.

Sul Corriere.it di ieri e sull’edizione cartacea di oggi, sono invece state pubblicate delle fotografie di Sasha Obama che gioca a nascondino nell’ufficio ovale mentre il padre è alla scrivania. Con la delicatezza che spesso contraddistingue la stampa (si parla di maledizione dei Kennedy non di botta di culo), la foto viene paragonata a quella scattata qualche anno prima, nel 1963, che ritrae John John Kennedy nascosto sotto la scrivania del padre il presidente, Fitzgerald Kennedy. Ora non vorrei dire, ma penso che ad Obama gli sia venuta la voglia di darsi una bella grattatina, infondo anche gli eroi mitologici in qualche modo cercavanio di propiziarsi la dea fortuna.

Le città della gioia



Forbes.com ha stiallato la classifica delle città più felici del mondo, dove cioè le persone si divertono, sono felici, e vivono con leggerezza. Sul podio della felicità la città del carnevale, Rio de Janeiro, popolata da bellissime donne che ballano mezze nude (quando penso a questo luogo comune sulle brasiliane, mi torna sempre in mente una battuta di una mia amica rimasta un po ingrossata dalla gravidanza, che al marito ammirante le foto di ballerine di samba disse “ e certo che hanno quei culi lì, mica passando 8 ore al giorno davanti alla scrivania, loro di mestiere stanno 8 ore al giorno a muovere fianchi, glutei e cosce” ). La seconda città più felice è Sydney - l’Australia peraltro conquista un altro posto nella top five con la città di Melbourne –; Sydney è apprezzata per la socievolezza degli abitanti e lo steretipo è un grande barbecue con tanti amici e vicini di casa. La Spagna con Barcellona e Madrid conquista il terzo e il sesto posto, la prima è infatta considerata la città mediterranea ideale, con una grandiosa squadra di calcio, buon cibo, ottimo clima e culturalmente stimolante; Madrid invece ha una qualità di vita molto alta. La capitale commerciale dell’Olanda, Amsterdam, si piazza al quarto posto grazie alle sostanze psicotrope che si fumano nei locali e girano nell’aria, insomma la vera città sesso, droga e rock’n roll. Il divertimento italiano si difende con un mediocre ottavo posto grazie alla città di Roma con la giustificazione che secondo Forbes gli italiani sono sempre felici e in uno stato d’animo da party (party mood) – forse il motto wher’s the party? ha condizionato la percezione dell’italiano medio -.

mercoledì 2 settembre 2009

Partire dai numeri

Mi è stato chiesto di scrivere degli appunti sulla situazione lavorativa in Italia. Oltre alle esperienze personali, avevo pensato di raccogliere un po’ d’interviste per confrontare i diversi aspetti del lavoro in Italia: stipendi, contratti, qualifiche lavorative, ambiente, rapporti tra colleghi e superiori, ed aspettative disattese. Penso però che sia fondamentale partire dai numeri, cioè dai dati forniti da Eurostat. Per il 2008, l’indice di occupazione evidenzia una percentuale pari al 65.9 della popolazione adulta nell’area eu27 (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lithuania, Luxembourg, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovakia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito); nell’eu15 (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Luxembourg, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito) invece l’indice di occupazione arriva al 67.3 per cento. Senza voler prendere a modello paesi - distanti anni luce - come Danimarca con un indice di occupazione del 78.1 per cento, Olanda (77.2) o Austria (72.1), in Italia gli occupati sono il 58.7. della popolazione adulta, percentuale che ci porta a confrontarci con paesi come la Polonia e la Romania (59 per cento) e l’Ungheria (56.7). Percentuale che scende al 47.2 per cento se si censisce solo la popolazione lavorativa femminile, per inciso la media eu27 è del 59.1 per cento e arriva a 60.4 nell’eu15. Possiamo però consolarci dando un’occhiata ai dati sulla disoccupazione: nei paesi eu27 la percentuale di chi ha perso il lavoro a luglio 2009 è del 9 per cento, valore leggermente più alto nell’area eu15 (9.2). Per quante riguarda l’Italia i dati sulla disoccupazione si fermano a marzo di quest’anno ed è del 7,4 per cento, fortunatamente più bassa rispetto a Francia (9 per cento) e Spagna (17.2 per cento).

Ancora treni

Il rientro dalle vacanze, evento di per sé traumatico, è reso ancora più funesto dai mezzi di trasporto. Questa volta però non si tratta per mia fortuna di ritardi o questioni igieniche, bensì di rimborsi. Prima di acquistare il biglietto di ritorno, sono andata infatti in stazione per farmi rimborsare il ritardo di oltre un’ora e mezzo dell’andata. Nonostante però la buona volontà dell’operatrice allo sportello - voglio credere nella sua buona fede, senza dietrologie e pensieri maliziosi - del rimborso neanche l’ombra, perché trenitalia dava alla richiesta di rimborso una risposta incomprensibile, ne sì ne no, una sorta di indefinito senza prospettive. La soluzione proposta e caldeggiata dall’operatrice allo sportello - e anche in questo caso voglio credere nella sua buona fede, senza dietrologie e pensieri maliziosi- è stata quella di chiamare un numero di trenitalia a pagamento, ma questo non era stato specificato dall’operatrice allo sportello, che avrebbero potuto darmi maggiori informazioni e chiarimenti. Quanto ne possa valere la pena? Probabilmente la serie di telefonate utili per capire il problema, per verificare la reale responsabilità di trenitalia e l’eventuale conclusione della vicenda, sarebbero più costose del rimborso stesso – ho copiato qui sotto i dati inerenti i costi riportarti sul sito ufficiale – e così ho desistito, come credo la maggior parte di persone.

Da telefono fisso: Scatto alla risposta: 0 centesimi di euro (IVA inclusa) Costo al minuto: 9,91 centesimi di euro (IVA inclusa)
Da telefono mobile: La tariffa, in coerenza col proprio piano tariffario, è dipendente dal gestore di telefonia mobile. Ad esempio: una telefona di 3 minuti da telefono fisso avrà un costo di 30 centesimi di euro (IVA inclusa), da telefono mobile avrà un costo tra € 1,01 e € 1,38 (IVA inclusa)

domenica 30 agosto 2009

E il fermarsi è correre

« Non sapevo che il buio non è nero
Che il giorno non è bianco
Che la luce acceca
E il fermarsi è correre
Ancora
Di più »
(Goliarda Sapienza)

Alla fine l’iniziativa proposta da un supermercato di Varese ha evidenziato due aspetti essenziali del paese: il lavoro come un evento aleatorio, e la prima vera modifica al primo articolo della costituzione quello che diceva che L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro trasformandolo in L’Italia bla bla bla fondata sulla fortuna.

Cosa è accaduto? Una catena locale di supermercati ha organizzato una riffa che mette a disposizione una decina i posti di lavori a tempo determinato (ma come si sente spesso dire, se la persona vale e se i profitti aziendali saranno soddisfacenti non è detto che…). Per una spesa infatti di 30 euro, ai clienti viene data una cartolina gratta e vinci che permette ai clienti di essere sorteggiati per un eventuale lavoro tra scaffali e casse. In un paese affamato di lavoro e carente di diritti civili la lotteria per il lavoro mi sembra veramente un brutto scherzo.

martedì 25 agosto 2009

I carcamano

Mentre in questa calda estate si discute su chi siano gli immigrati (delinquenti o persone da aiutare) quali siano i loro diritti (matrimoni, scuole, sanità), mettendo in ordine l’archivio di un vecchio computer ho ritrovato un progetto che avevo preparato qualche anno fa per una mostra fotografica sull’immigrazione: quella italiana in Brasile. Senza troppe modifiche riporto di seguito la breve ricerca storiografica che avevo fatto allora e la “storia” dei carcamano.

Nel 1875 inizia in proporzione rilevante l’immigrazione italiana, soprattutto nello stato di San Paolo, e Genova è il principale porto d’imbarco del flusso migratorio per il Brasile.
La Traversata atlantica è penosa, in molti casi si sviluppano epidemie e non sono inusuali i naufragi – del 1906 è il drammatico naufragio della nave Sirio che provoca 219 vittime -.
La città di Santos è il principale porto d’entrata, una volta sbarcati gli immigrati sono fatti salire sui treni che attraversano il massiccio atlantico fino alla città di San Paolo. Nel centro di San Paolo si ergeva l’Ospitale degli Immigrati, che accoglie provvisoriamente gli immigrati che aspettano di essere smistati nelle fattorie del sud del paese. Il lavoro è duro e coinvolge l’intero gruppo familiare. Le famiglie vivono nelle fattorie, molte volte creando un piccolo villaggio denominato nucleo coloniale, l’obiettivo è di risparmiare per comprare la propria terra nel nuovo paese o per tornare in Italia con più soldi in tasca.
I dati sull'immigrazione in Brasile sono scarsi e spesso contraddittori. I numeri più affidabili sembrano essere quelli dell’Istituto geografico statistico brasiliano, che, fra il 1884 ed il 1939, stima siano entrati nel paese oltre 4 milioni di persone,di questi gli italiani rappresentano il contingente più importante, superando gli stessi portoghesi.
Arrivato per sostituire la manodopera schiava che andava assottigliandosi sempre più in seguito alla legge del Ventre Libero del 1871 (la legge prevede che i figli di madri schiave sarebbero stati liberi, per la completa abolizione della schiavitù bisogna invece aspettare sino al 1888), l'immigrato italiano era considerato, in quanto bianco e cattolico, qualitativamente superiore. Gli immigrati italiani subiscono però condizioni di lavoro e di vita molto difficili dall’indebitamento necessario a pagare il viaggio trans-oceanico alla mentalità schiavista di molti proprietari terrieri (nel 1902 il governo italiano cerca di porre rimedio allo sfruttamento della manodopera in Brasile, proibendo l'emigrazione sussidiata dallo stesso paese sud americano - Decreto Prinetti – ma come si dice la fame non si sazia con un decreto).

Senza la prospettiva di poter abbandonare la condizione di braccianti salariati e divenire piccoli proprietari, molti italiani si trasferiscono in città, dove divengono fruttivendoli, pescivendoli, giornalai, venditori di granaglie, attività, tutte queste, che non richiedono né capitali né competenze particolari. Gli immigrati sfruttano un settore, quello dei servizi, in rapido sviluppo per la crescita della capitale paulista, e nel quale non esiste concorrenza di rilievo. Importante, per i nuovi arrivati, è l'appoggio fornito dalla rete di relazioni con i connazionali e, più specificamente, con i compaesani. La presenza italiana è così forte e visibile da generare rigetto da parte dei brasiliani di alta estrazione. Questa reazione si estrinseca nella diffusione di pregiudizi e stereotipi negativi, sintetizzati nel termine carcamano. Il carcamano (sinonimo di italiano) è infatti il commerciante disonesto, che ruba sul peso della merce "calcando la mano" sul piatto della bilancia per alterarne la misurazione.
Molti dei quartieri di San Paolo sono creati dagli italiani: Bras, Bexiga, Barra Funda, Bom Retiro. Qui si ricostruiscono le comunità paesane, come naturale rete di protezione, ma anche come dei veri e propri ghetti razziali perché gli italiani assumono solo italiani, vivono tra i italiani e si sposano tra italiani dando così vita a una società a classi sociali molto chiuse. Sono testimonianza della massiccia presenza italiana le feste dei santi protettori che identificano, in modo inequivocabile, i luoghi di origine: nel Bexiga la Vergine Acheropita, venerata a Rossano Calabro; nel Bras, San Vito Martire, patrono di Polignano a Mare.

Con l'espansione della città, alcuni riescono a passare dal commercio al dettaglio al ruolo di grossisti. Questo è possibile anche grazie all'abitudine di affidare i propri risparmi ai connazionali di maggior prestigio, determinando così il fenomeno di "accumulazione originaria" che mette a disposizione di alcuni somme molto superiori a quanto non avrebbero potuto altrimenti risparmiare ed investire. Nascono quindi banche la cui attività si regge sulle rimesse degli emigrati verso l'Italia Gli italiani rappresentano la maggioranza della mano d'opera a San Paolo, alcuni creano piccole industrie familiari, altri si dedicano all'import-export. I brasiliani preoccupati però per l’ordine sociale nel paese e per l’economia locale, emanano due leggi per la regolamentazione dei flussi. Nel 1907 è approvata la legge Adolfo Gordo che permette l'espulsione dal Brasile degli stranieri coinvolti in attività sovversive e criminali, mentre nel 1934 la costituzione riserva 2/3 dei posti di lavoro per i brasiliani ed introduce un sistema di quote per l'ingresso degli immigrati nel paese.

domenica 23 agosto 2009

L’ho rifatto

Qualche anno fa imperversava una canzoncina dal titolo I did it again, che può essere tradotto ci sono cascata nuovamente, l’ho rifatto. E io sono ricascata in una situazione che qualche anno fa avrei creduto impensabile e giudicata stupida: mentire sull’età, abbassare gli anni.

La prima volta è capitato quasi due mesi, stavo facendo anticamera ad una conferenza, quando parlando con un collega che aveva scoperto di aver trascorso le vacanze nei posti della mia adolescenza, mi ha chiesto a bruciapelo quanti anni avessi (senza alcun dubbio un gran cafone, perché alle donne da che mondo è mondo non si deve chiedere l’età). D’istinto, facendo un rapido calcolo sulla probabile età del fastidioso postulante, mi sono tolta 4 anni, tanto per fare un numero divisibile per cinque, e soprattutto per non esagerare, perché quando dovessi incontrarlo, mi devo ricordare della balla che gli ho raccontato, secondo l’ambiente è piccolo, e quattro anni in fondo non sono un peccano veniale. Comunque, seppur cafone, si è detto stupito delle mia età e che dimostravo cinque anni in meno; quindi facendo i conti della serva 5+4, 9 anni in meno. Non male.

La seconda volta è stato durante un viaggio in treno; ho diviso lo scompartimento con degli studenti liceali che tornavano da un campeggio, e parlando di viaggi vacanze e università, mi hanno chiesto “ma tu quanti anni hai?” (gli anni a quell’età è semplicemente un numero da 17 a 19, e non un numero da nascondere). Memore del commento del fastidioso postulante mi sono tolta senza vergogna 9 anni. Ovviamente si sono stupiti che potessero esistere persone così grandi con le quali interagire, però ancora di più si sono stupiti dell’età, “perché non pensavo che fossi così grande, avrei detto un paio di anni in meno” (a 17 anni due anni in più o in meno sono una generazione !!!!!).

L’ultima volta è accaduto pochi giorni fa, in realtà avevo iniziato con l’essere sincera, o quasi (mi ero tolta solo 1 anno), ma quando mi sono sentita dire “ma dai, mi prendi in giro” mi sono girate le scatole e così con una faccia di chi la sa lunga e che vuole mettere a dura prova il suo interlocutore, con naturalezza ho tolto gli anni necessari per far diventare il numero divisibile per dieci.

Insomma ci sono caduta ben tre volte, e mi sento in colpa. Però vorrei sapere perché è così importante conoscere l’età delle persone? E soprattutto perché diventa un’informazione sensibile e fastidiosa solo dopo una certa età? Forse la vecchiaia che incombe.

martedì 18 agosto 2009

Sant’Elena

I santi mi stanno abbastanza simpatici, poi ovviamente non si può generalizzare, comunque oggi è sant’Elena e dato che la titolare di questo blog si chiama Elena, mi sembra doveroso spendere due parole.

Subito prima della simpatia verso alcuni santi, viene una mia particolare visione sincretica religiosa-mitologica-magica, per cui a ciascun santo mi viene da associare personaggi mitologici, storici ecc. che ne stravolgono la reale agiografia. E così a sant’Elena associo la figura di Elena di Troia “il suo volto era simile a un’anima immortale” (mica fusaje), Napoleone, perchè trascorse nell'isoletta il suo esilio, e la parola imperatrice (propria della santa).

Penso quindi a una santa bellissima e anche un pò libertina, che fu rapita da un uomo, divenne poi imperatrice acquisendo onore, potere e fama, e infine fu quasi amica di Napoleone.

Tempo di pulizie

Come trascorrere i giorni a cavallo di ferragosto?
Facendo pulizie.

Fare le pulizie aiuta a ricollocare tutto al suo posto, e non solo esternamente. Ripristinare l’ordine materiale delle cose aiuta a disporre le idee e i pensieri secondo categorie prestabilite; gettare via il superfluo o ciò che da anni si ammucchia senza una ragione precisa conferisce coraggio nell’assumere decisioni; pulire e lucidare ha un’azione rigenerante per l’anima.

Ed è proprio pulendo e lucidando che ho scoperto - scoprire forse è un pò forte, perché in realtà non ho avuto alcuna illuminazione mistica o trascendentale ne tanto meno scientifica - ho constatato (questo sì) che lo sporco si vede togliendolo. Cioè se si sporca all’inverosimile un qualcosa, si vedrà solo che è sporco; ma per scoprire quanto il qualcosa sia veramente sporco bisogna pulirlo. Insomma lo sporco, o meglio la sensazione dello sporco, è un levare non un mettere, è un negativo piuttosto che un positivo. Forse questa mia “scoperta” è banale e insignificante, però per me è stata rivelatrice e propositiva, anche perchè a cavallo di ferragosto i più non si mettono a pulire.

giovedì 13 agosto 2009

I tempi cambiano


Ho letto con invidia l’avventura di Sara al centro commerciale, dove tra carrelli della spesa e scaffali traboccanti di ogni bene s’incontrano persone impensabili.

Nello stesso giorno in cui lei è stata a fare la spesa, in un luogo popolare considerato la triste proposta aggregativa della periferia urbana moderna, io per un mezzo lavoro sono dovuta andare in Versilia, una località considerata per nulla popolare e destinata all’aggregazione vacanziera di un pubblico esclusivo. Prima di arrivare all’appuntamento un famoso hotel, mi sono fatta una passeggiata sul lungo mare, che quasi non ricordavo più e odorava di creme solari, profumi freschi e esotici, salsedine, cloro e pesce fritto, e la persona più interessante che ho incontrato è stato il parcheggiatore abusivo con il berretto alla braccio di ferro. Tutti il resto era semplicemente un’imitazione di costantini, briatori, coroni, accompagnati da giovani e meno giovani signore ricoperte di stoffe inguinali ma con tanto di stivali. Perché come dicevano gli antichi i piedi devono stare al caldo.

lunedì 10 agosto 2009

Questioni linguistiche

“Questa estate - ha detto il ministro delle Riforme per il Federalismo, Umberto Bossi, parlando alla festa della Lega - scriveremo la legge per la salvaguardia dei nostri dialetti che dovranno essere insegnati anche nelle scuole”. E forse il suggerimento è stato accolto dal ministro per i Beni Artsitici australiano, Peter Garret, che ha predisposto lo stanziamento di 7,8 milioni di dollari per salvare gli oltre 100 linguaggi indigeni considerati ad alto rischio estinzione. I soldi saranno impiegati per tradurre libri per bambini e realizzare un centro studi dedicato ai linguaggi aborigeni. Per Garrett infatti i linguaggi aborigeni sono una preziosa eredità da tramandare alle future generazioni australiane e per questo è importante che il paese si prenda cura della cultura indigena. In Australia si contano ben 145 tra linguaggi e dialetti e di questi 100 sono considerati a rischio di estinzione perché parlati solo da piccole comunità cioè circa dal 2 per cento della popolazione.

domenica 9 agosto 2009

Double face

Andare all’ipermercato è un’esperienza pregna di interessanti scoperte, in cui si aprono le innumerevoli porte della percezione e non solo.
Andare all’ipermercato una pigra domenica mattina d’agosto vale un viaggio esperienziale, andata e ritorno.

Non che non sia mai entrata in un ipermercato, però in verità il mio fare la spesa si riduce a una corsa ad ostacoli incentivata dagli altoparlanti interni che annunciano insistentemente di avvicinarsi alle casse e l’imminente chiusura del negozio. Così non ho mai le cose che mi servono, ma solo doppioni di cose che non mi serviranno a nulla o che non riuscirei mai a mangiare, e soprattutto non ho mai la possibilità di soffermarmi sulle ultime novità proposte dal mercato.
Così questa mattina mentre passeggiavo con il mio carrello lungo i corridoi dell’ipermercato ho scoperto l’esistenza di carta igienica double face. Ora per quel che ne so io per double face si intende un qualcosa che può essere usato da entrambe le facce. Durante la mia adolescenza erano di moda infatti vestiti, gonne e giacche che poteva essere usati da un verso e da un altro; per una qualche festa ricevetti una sorta di completo sportivo giacca e gonna da una parte verde smeraldo e dall’altro giallo senape, che avrei potuto indossare decidendo di vestirmi tutta giallo senape, tutta verde smeraldo, o alternando sopra di un colore e sotto di un altro e viceversa. Penso che il trauma sia sufficiente quindi per nutrire più di una qualche perplessità su tutto ciò che possa essere double face, e scoprire una carta igienica che automaticamente ho ricollegato al doppio uso dei mie vestiti è stato simile a una seduta d’analisi.

Comunque la funzione double face della carta igienica di questa mattina non si riferisce a un doppio ri-uso, ma a una doppia proprietà della stessa: da una parte morbida, dall’altro ruvido. Ognuno a questo punto rievochi i propri traumi.

venerdì 7 agosto 2009

...dopo il cibo, viene la salute

Al secondo posto, ma di gran lunga di molto dopo il cibo, viene la salute. Cioè il secondo argomento da spiaggia è la salute, o meglio le malattie. Infatti una cosa è parlare di salute un’altra elencare tutti i malanni e le patologie come una lista della spesa, con tanto di commento. Le malattie che colpiscono lo stomaco, l’intestino, la pressione e il colesterolo, sembrano essere quelle che più affliggono i bagnanti. I problemi riguardanti lo stomaco vanno da ulcere di vario genere a problemi digestivi, che impediscono di dormire la notte o di mangiare alcuni alimenti. La pressione invece va da sé o è alta o è bassa, però per quelli che sono afflitti da pressione alta è un discutere di pastiche miracolose da prendere la mattina, mentre quelli con la pressione bassa lamentano stati di spossatezza, fatica cronica, debolezza. Per il colesterolo si va infine dai preparati da supermercati, a impiastri fai da te per arrivare alla solita pillola; ma c’è anche chi ritiene che sia tutta una strategia delle case farmaceutiche e ricordano di lontani parenti che sono morti a 100 anni con il colesterolo a 300.

Ci sono poi quei bagnanti che hanno patologie molto specifiche e sconosciute. In genere si tratta di malattie non troppo gravi ma molto fastidiose, che si risolvono dopo un lungo un peregrinare da vari specialisti, fino a quando un medico illuminato non trova la patologia, che forse neppure esiste, ma che comunque definisce il loro male e può essere così curato.

Passate in rassegna le proprie malattie, si passa a quelle degli altri, vicini, colleghi, parenti ma soprattutto si disquisisce sulla sorte di quelle persone che negli scorsi anni avevano frequentato la spiaggia ma qualche tempo non si vedono. E dalla malattia si arriva sul far de solleone a un altro argomento…chissà che fine ha fatto?

giovedì 6 agosto 2009

Cibi da spiaggia


Non c’è argomento che tenga; alla faccia del colesterolo, dei trigliceridi, delle diete per affrontare la prova bikini, o della flessione del 4,4 per cento del fatturato nei supermercati a giugno, gli italiani in spiaggia parlano solo o per la gran parte di cibo. Dalla sagra dei muscoli (che da queste parti indicano i mitili) a quella del tordello, dalla cena sotto l’ombrellone a casa dei vicini, alla grigliata di casa propria, dal ristorante consigliato dalla signora che affitta casa, al ristorante di nicchia. Al mare, lontano dai problemi del capoufficio stronzo, del parcheggio, dei figli che non hanno voglia di fare nulla, gli italiani diventano tutti dei fini gourmet e forse è per questo che la televisione propone così tanti programmi dove insegnano a cucinare o dove si sfidano aspiranti cuochi.

Insomma un sorta di dimmi a che spiaggia vai ti dirò cosa mangi. Ieri mattina, ho avuto l’esperienza di ascoltare tutti le eventuali preparazioni per i pranzi, le cene e le merende per bambini da sei mesi a 8 anni. Pappe, omogeneizzati casalinghi, succhi di frutta preparati secondo le ricette di donna e mamma, polpettine di pesce e verdure, tante varietà di paste, o meglio paste speciali che ho scoperto cuociono solo in 4 minuti, informazione da tenere a mente per frenare i miei attacchi di fame da dinosauro che mi porta a svuotare il frigo e la dispensa da tutto ciò che si può divorare immediatamente mentre aspetto che l’acqua inizi a bollire e la pasta si cuocia. Il menù in queste spiagge è ovviamente corredato da notizie e informazioni su pannoloni e loro eventuali proprietà di tenuta, quindi alla fin fine in questi casi si va sempre a parlare del destino ultimo dei vari cibi che le mamme con tanto amore hanno preparato ai loro pargoletti.

Questa mattina invece la spiaggia era frequentata da novelli pensionati, che nella loro nuova libertà hanno ritrovato una specie di seconda giovinezza che li porta a scorazzare da una sagra paesana al ristorante dallo zozzone. I racconti sulle esperienze gastronomiche della serata, sempre pantagrueliche, sono accompagnati da dibattito sull’eventualità di usare l’aglio per insaporire una determinata pietanza, o da rielaborazioni di ricette che hanno assaggiato in diverse varianti ma mai come quella mangiata nel 1973 in quel ristorante sull’appennino gestito da quella coppia che si era ritirata tra le colline dopo una vita in città. All’ora del cappuccino, il rappresentate di ogni nucleo familiare, quello più ferrato di fornelli, un po’ come nelle riunioni di auto-aiuto, propone il menù previsto per l’ora di pranzo, fagioli con le cotiche, cima ripiena, fettine panate, tutti però da mangiare rigorosamente freddi perché con questo caldo vanno giù meglio.

È quasi l’ora di pranzo, la spiaggia si popola di trenta-quarantenni che passano la pausa pranzo al mare o che lavorano part time, aprendo le loro borse frigo iniziano a discutere di calorie e proprietà nutritive di insalate verdi ma un po’ appassite dal sole, di paste in bianco condite con un filo d’olio e verdure crude, che aumentano il transito intestinale, saziano e non fanno ingrassare, di yogurt che sotto il sole sembrano evaporare, o di frutta mangiata solo per le sue qualità: la pesca sgonfia, l’albicocca abbronza, il melone spiana le rughe, l’ananas asciuga, il cocco favorisce la funzione dell’intestino.

Mi alzo, scuoto l’asciugamano, vorrei andare a fare il bagno ma ho l’impressione di aver mangiato troppo, quanto dovrò aspettare prima di digerire tutto questo cibo?

mercoledì 5 agosto 2009

Tonno, sono sempre i migliori ad andarsene


Mi è capitato qualche giorno fa di intravedere la nuova pubblicità del tonno quello con la scatoletta giallo e blu e il profilo di un tipo al timone che sembra lo stesso che vende anche i bastoncini di pesce, in un primo momento ho pensato che ci fosse stata un’interferenza sul canale che stavo guardando, poi ho creduto che fosse la pubblicità di qualche nuovo spettacolo comico, quindi che un’azienda concorrente avesse realizzato una campagna diffamatoria nei confronti del tonno, quello con la scatoletta giallo e blu e il profilo di un tipo al timone che sembra lo stesso che vende anche i bastoncini di pesce. Invece no, dei creativi, uno staff di menti geniali ha ritenuto che gli italiani medi fossero invogliati a gustare nell’insalata di riso o nel tramezzino, un prodotto il cui messaggio parlasse di morte: sono sempre i migliori ad andarsene.

Facendo qualche ricerca ho scoperto che per tutta l’estate la televisione italiana nel piccolo spazio pubblicità potrà assistere le avventure di un pirata “armato di fascino cinismo e appeal”. Obiettivo della nuova comunicazione del tonno, quello con la scatoletta giallo e blu e il profilo di un tipo al timone che sembra lo stesso che vende anche i bastoncini di pesce “è quello di emozionare il consumatore sottolineando i valori qualitativi legati al prodotto. Ed è proprio il protagonista degli spot, con la sua travolgente personalità e il suo humor surreale, a trasmetterne l'unicità in una particolare degustazione che avviene nel primo episodio della saga dal titolo Cena”. Fascino e appeal? Emozionare? Travolgente personalità? In tempi come questi forse il consumatore avrebbe bisogno di essere rassicurato, e non preso a pugni nello stomaco anche per una stupida pubblicità, soprattutto quando si tratta di tonno, quello con la scatoletta giallo e blu e il profilo di un tipo al timone che sembra lo stesso che vende anche i bastoncini di pesce.

Lo spot per la cronaca è stato girato sul mar nero ed è articolato in vari episodi, andrà in onda per tutto agosto (menomale perché non so se avrei retto a tutte queste emozioni al rientro dalle vacanze), 500 passaggi saranno programmati sulle reti rai, mediaset, e la sette, mentre 4000 saranno i passaggi su 47 emittenti della piattaforma satellitare. Il valore della campagna televisiva si attesta sui 2 milioni di euro. Il responsabile marketing del tonno, quello con la scatoletta giallo e blu e il profilo di un tipo al timone che sembra lo stesso che vende anche i bastoncini di pesce ha detto che “attraverso il nuovo capitano, vogliamo portare al consumatore, in modo originale ed ironico, un messaggio importante che si lega alla tradizione fatta di attenzione per il prodotto e per le sue caratteristiche qualitative”. Speriamo non sia uno dei migliori responsabili makerting aziendali.

Rinviato il processo a Lubna


E’ stato rinviato al prossimo 7 settembre il processo a Lubna Ahmed al Hussein (la giornalista sudanese colpevole di aver portato i pantaloni). Lubna Ahmed al Hussein, in quanto collaboratrice della missione delle Nazioni Unite in Sudan avrebbe avuto diritto all'immunità, privilegio cui tuttavia ha rinunciato perchè vuole combattere per la sua innocenza e dimostrare come ogni legge del Sudan umili e limiti la libertà delle donne. Intanto nel paese qualcosa si sta muovendo: Lubna ha delle sostenitrici (foto), forse un centinaio, che il giorno dell'udienza si erano radunate davanti al tribunale di Khartoum, e che sono state allontanate con gas lacrimogeni da poliziotti in tenuta antisommossa e visibilmente armati di bastoni.

martedì 4 agosto 2009

Esodo



Agosto, andiamo. E’ tempo di partenze
Ora in terra d’Italia o miei lavoratori
lascian le città e vanno verso il mare
scendono all’…..

Fine luglio inizio agosto le città italiane si svuotano (sabato scorso per fare colazione ho dovuto girare ben 4 bar) tutti partono per le vacanze. Non che agosto sia il mese preferito dagli italiani per le vacanze, tutto infatti lamentano che gli alberghi sono più costosi, le giornate sono già molto più corte rispetto a giugno, e il traffico che si è sopportato nei mesi invernali si riversa tutto insieme sulle strade e sugli altri mezzi di trasporti per le vacanze. Agosto è semplicemente il mese delle vacanze coercitive. Comunque andando oltre queste riflessioni sociali per passare al concreto se non personale, domenica (2 agosto) anch’io mi sono messa in viaggio, in treno.

Sono arrivata a termini di buon ora, calcolando i tempi degli spostamenti con il cronometro, (casa-metropolitana 5 minuti, attesa metropolitana giorni festivi 6-8 minuti, fermata metropolitana-termini 20 minuti, binario della metropolitana binario ferroviario 10 minuti), ma già sul tabellone degli arrivi e partenze sono preannunciati 20 minuti di ritardo, che aumenta a 30 quindi 40 e per finire 50. Un treno strapieno che non da segno di svuotarsi nè a termini né a nessuna delle successive stazioni arriva quindi puntuale con 50 minuti di ritardo. Strapieno, molti dei posti a sedere sono stati venduti anche a tre diverse passeggeri, costringendoli a turni di riposo di soli 20 minuti; sporco, le ferrovie dello stato si scusano a tutti gli altoparlanti, quelli interni al treno e quelli esterni delle stazioni che attraversa, che per qualche indubbio e poco chiaro motivo non è possibile fornire un servizio di pulizia adeguato; e in ritardo, gli orologi delle ferrovie dello stato fanno sicuramente rifermento a un fuso orario diverso da quello di Greenwich, perché per tutti il ritardo sfiorava l’ora e mezzo, per ferrovie dello stato solo un’ora; comunque strapieno, sporco e in ritardo (ma non avevo già scritto l’ultima volta che ho preso un treno questi aggettivi) il treno attraverso con il suo carico umano 400 chilometri d’Italia da sud a nord.

Come diceva Totò, arrivata dove dovevo arrivare, mi sono presentata allo sportello di ferrovie dello stato per sapere come ottenere il chimerico rimborso del supplemento sul biglietto dopo i trenta minuti di ritardo: ferrovie dello stato, prima di corrispondere il rimborso – mi è stato risposto – deve prima valutare se il ritardo di domenica sia effettivamente imputabile a responsabilità dell’azienda, in caso il ritardo dipendesse da cause esterne non dipendenti dall’azienda (tipo trasmutazione dell’acqua in sangue, invasione di rane, zanzare, mosconi e cavallette, ulcere su animali e uomini, grandine, tenebre o morte dei primogeniti – l’antico testamento, proprio nell’esodo, elenca una serie di inconvenienti che negli esodi a venire avrebbero imperversato sull’umanità del futuro) nessun rimborso.

lunedì 3 agosto 2009

Censura


A proposito del dire o non dire, venerdì in chiusura di giornale, in chiusura di una settimana afosa e sopratutta in vista della chiusura estiva (sotto alla scrivania avevo telo da mare e ciabattine che scalpitavano) ho avuto un articolo in stand by, al vaglio di una decisione: pubblicare o non pubblicare. Non che fosse un pezzo da gola profonda o water gate, però era a mio giudizio un pezzo interessante di retroscena politica. La sera precedente in via quasi formale avevo avuto delle notizie in merito al malcontento della corrente siciliana del pdl, alle manovre di alcuni politici isolani e a una cena di ricitura. Così venerdì mattina rimuginando cosa poter scrivere e cosa no, ho chiesto al direttore se potevo prepare un pezzo sul partito del sud con le informazioni che avevo. La risposta molto sibillina, ma i direttori in questi casi sono sibillini solo quando devono farti i cazziatoni diventano espliciti, è stata “vediamo, ma stai attenta con i nomi”. Certo i nomi, però descrivere una vicenda che ruota intorno a personaggi e nomi è un’impresa ardua anche perché i lettori devono capire di chi si sta parlando, avere dei riferimenti velati ma chiari, altrimenti pensano a una farsa a una storia di fantascienza.

L’articolo ha stuzzicato l’interesse del caporedattore, che l’ha definito gustoso e interessante (ed ha leggermente cambiato un suo pezzo sulla base del gioco delle alleanze e delle amicizie che ne veniva fuori); ma ha messo subito le mani davanti dicendo che non si sarebbe preso la responsabilità di pubblicarlo, e che attendeva ordini dall’alto. Il direttore ha letto il pezzo, fatto qualche modifica, riletto, tolto qualche modifica, alla fine mi ha guardato negli occhi e mi ha detto NO. Il perché? Meglio non pestare i calli a persone che potrebbe agevolare o intralciare il lavoro della redazione. Pazienza.

Il mio blog ha un peso pari a quello di una piuma, di conseguenza non può pestare calli ad alcuno, e sopratutto non è lavoro, nel senso che non devo rendere conto a nessuno, ho pensato così di ripescare il pezzo e pubblicarlo, a partire dal titolo che mi era sembrato anche appropriato.


Questione meridionale, una cena riparatrice

Il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, ieri sera ad una cena di lavoro in cui sedevano il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianfranco Miccichè, e una quarantina di parlamentari siciliani ha affrontato personalmente la questione meridionale esplosa mediaticamente e cannoneggiata dai giornali durante tutta la settimana. Secondo fonti del ..… l’iter della vicenda sarebbe però un po’ diverso da quanto descritto dalla stampa, a partire dalle accuse mosse da Miccicchè al premier di divorare ciò che ha generato (il famoso Conte Ugolino). Lo scorso venerdì, infatti, Berlusconi ha avuto un incontro riservato con un senatore del Pdl, suo fedelissimo (uomo Fininvest in Sicilia), sponsor di Miccichè e da molti ritenuto l’eminenza grigia del centro destra nell’isola. Il senatore avrebbe informato Berlusconi di una “manovra siciliana”, in cui un’importante carica istituzionale, non meridionale, avrebbe fatto leva sul malcontento di un ministro e sull’amicizia con attivi amministratori locali, tutti siciliani, per fare esplodere una “questione meridionale” in chiave antitremontiana, che avrebbe dato luogo ad una scissione nord sud all’interno della maggioranza, e ovviamente ad un indebolimento della stessa. Il fedelissimo senatore provvidenzialmente informato della strategia e del piano di mettere in difficoltà il governo nella fiducia di venerdì ne ha dato conto a Berlusconi, che peraltro ha avuto prova dei fatti proprio dai risultati di una fiducia passata con solo 279 contro i 310 voti abituali. La cena riparatrice di ieri sera, oltre ad appianare la cosiddetta questione meridionale con lo sblocco immediato dei 4 miliardi di fondi Fas, la creazione di una cabina di regia e di una banca del sud per la gestione e amministrazione dei fondi, è servita quindi a rinsaldare la fiducia tra Berlusconi e la componente di senatori e parlamentari, che ruotano intorno a Miccichè, e scongiurare manovre eversive nella maggioranza.

venerdì 31 luglio 2009

Io non sono una di quelle…

Così è più o meno iniziata una della conversazioni femminili più assurde cui mi è capitato di assistere ultimamente. È il caso di dire che a volte ce l’andiamo proprio a cercare; siamo cioè bravissime a farci un fondo schiena tanto per dimostrare a noi stesse, alle altre donne e agli uomini quanto siamo brave, indipendenti, emancipate, intelligenti, simpatiche, coraggiose, competitive, preparate, ecc. e poi è sufficiente una frase per cancellare tutto. Non dico che sarebbe meglio tacere, non parlare, come spesso ci viene detto un po’ per scherzo un po’ seriamente, ma almeno nei momenti topici sarebbe il caso di spendere un secondo in più prima di dare fiato alle parole. Perché è su questi momenti infinitesimali che ci si gioca la reputazione e la credibilità.

“Bella questa borsa”
“Ti piace? L’ho comprata in un negozio vicino a …., pensa era in saldo, l’ho pagata solo….”
“Se ho tempo mi piacerebbe fare un salto in quel negozio”
“Fai bene, guarda io ho preso questa borsa perché ho pensato che fosse elegante e al tempo stesso funzionale, e poi è un colore che va bene un po’ per tutto”
“Decisamente sta bene su tutto, e poi sai io non sono una di quelle che ogni volta che si mette le scarpe ci abbina la borsa. Anche perché tutte le volte che cambio borsa poi non trovo qualcosa”
“Sì anch’io… per la borsa e le scarpe è così, un po’ come con le mutande e il reggiseno”
“…”
“In fondo quando ti cambi le mutande non sempre ti cambi anche il reggiseno”

Non ho capito se il silenzio che si è venuto a creare intorno agli allegri consigli delle due comari sia stato più profondo e imbarazzato alle parole “io non sono una di quelle” preludio di chissà quali inconfessabili segreti o all’avverbio temporale “quando” riferito al cambio delle mutande (quando!!!!! ti cambi).

Io comunque non sono una di quelle 2!

giovedì 30 luglio 2009

Dall’Africa all’Asia: l’infanzia negata


Nei giorni scorsi i militari pakistani si sono trovati davanti a un fenomeno di violenza inaudita: oltre 200 bambini fra gli 8 e i 13 anni malnutriti e malati rapiti dai talebani e addestrati per diventare baby-kamikaze, cioè terroristi suicidi da spedire conto il nemico o contro obiettivi civili. Secondo i militari, i bambini sono stati addestrati militarmente e sono stati sottoposti a “lavaggio del cervello”, tanto da inculcare nelle loro giovani e fragili sicurezze, l’odio nei confronti dei genitori, tanto da dire di volerli uccidere. Per avere maggiori informazioni sui bambini che vengono usati nelle guerre ho trovato il sito http://www.bambinisoldato.it/: “Mezzo milione di minori sono impiegati negli eserciti regolari e nei gruppi armati di opposizione in 85 paesi; più di 250.000 di questi prendono parte ai combattimenti in 35 paesi, e ben 120.000 solo nel continente africano”.

Qualche anno fa mi era invece capitato di presentare un reportage fotografico realizzato da Massimiliano Troiano dal titolo Sud Sudan (in qualche scatolone dei miei innumerevoli traslochi ho ancora sicuramente il catalogo che mi regalò), e per la prima volta ho sentito parlare dei bambini stregoni (les enfants sorciers) in Africa. In genere sono bambini piccoli, che difficilmente per molti motivi arrivano ai 12 anni, accusati dagli stessi familiari di esercitare poteri occulti. Questa loro prerogativa del tutto arbitraria, stabilita perché magari si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, li costringe a subire umiliazioni, violenze ed esorcismi. In genere sono allontanati dalle famiglie perché accusati di portare malattia, miseria, morte; vivono nelle strade, e rischiano di essere bruciati vivi, proprio come si faceva con le streghe 500 anni fa in Europa.
Ps. Ho scritto questo post dopo che questa mattina ho scelto come notizia da mettere in primo piano della liberazione dei 200 baby kamikaze, che ha risvegliato dalla memoria la storia dei bambini stregone.

mercoledì 29 luglio 2009

Lubna Ahmed al-Hussein


Oggi la giornalista sudanese Lubna Ahmed al-Hussein (foto) si presenterà davanti al giudice di Khartoum che renderà esecutiva una pena di 40 frustate e 250 sterline sudanesi. Lubna Ahmed al-Hussein è stata infatti accusata di aver indossato abiti non consoni ad una donna in un locale pubblico: un paio di pantaloni. Non pantaloni inguinali, hotpant, con le chiappa al vento, fascianti, trasparenti, ma comuni pantaloni. Nella retata della polizia al ristorante dove stava pranzando Lubna Ahmed al-Hussein sono rimaste coinvolte anche altre 10 donne, che già hanno scontato la loro punizione.

In vista dell'applicazione della sentenza, Lubna Ahmed al-Hussein ha distribuito 500 inviti per assistere alla fustigazione a colleghi, amici e politici perché: “ è importante che le persone sappiano cosa accade”. E se ne parli.

martedì 28 luglio 2009

Bubble wrap




Non so perché, ma alla fine di certe giornate mi sento come la carta scoppiettini in mano a un nevrotico.

Dire o non dire?


Un dubbio mi sta arrovellando da più giorni: dire o non dire? Lasciare passare un’informazione molto delicata di cui sono venuta a conoscenza, o gettare il sasso? Se dovessi pubblicarla su un giornale dovrei poter dimostrare la fondatezza, darne prova. Non ho però prove, se non una conversazione avvenuta tra me e la persona informata del fatto, che sicuramente non si prenderebbe la responsabilità di confermare o avvallare la notizia. In realtà, dopo tutto quello che è accaduto negli ultimi periodi, scandali sessuali inclusi, per una notizia del genere non si innalzerebbero barricate (cioè repubblica non pubblicherebbe liste di domande, e l’espresso non ne farebbe un titolo da copertina). Probabilmente non stupirebbe alcuno, al limite potrebbe essere solo una conferma del italico costume (malcostume) forse da commentare distrattamente sotto l’ombrellone. Che fare? Dire e non dire nello stesso tempo, minimizzando i toni.

Sembra che per ricevere attenzione, cioè stringere rapporti commerciali, con una determinata carica istituzionale, sia necessario stringere rapporti con un membro particolare del suo staff. Che non è proprio un membro del suo staff, ma una persona eletta in una delle due camere del parlamento che lo segue come un ombra, almeno fino a quando la moglie non è presente. Nel caso specifico i due avrebbero fatto un vero e proprio compromesso storico, in questo caso tra nord e sud.

venerdì 24 luglio 2009

Categorie

Le persone che sono sicure di avere sempre ragione sono pericolose; soprattutto sulla strada. E in meno di dieci ore mi sono imbattuta in ben due esemplari.

La prima è una di quelle signore tracollo ma non mollo che parcheggia in seconda fila perché ha adocchiato un annuncio di un ulteriore ribasso e non può farsi scappare l’occasione; ma invece di guardare lo specchietto retrovisore continua a puntare come un cane da caccia le promesse del consumismo e spalanca all’improvviso la portiera lato strada. Ovviamente la reazione non è stata di scusa nei confronti della persona sul motorino (io) che stava lasciando stampata la sua fotografia sulla portiera, bensì “ti sembra questo il modo di guidare”. Solo la folla inferocita testimone dell’accaduto ha insufflato nel suo ego sconfinato un vago sentimento di “forse ho sbagliato” e di uno “scusa” appena sussurrato e poco convinta.

La seconda è un tipetto fumino anzichenò che guida un sorta dai vasca da bagno a motore, sproporzionata per il traffico cittadino ed esagerata per la sua costituzione che al semaforo occupa irremovibile la corsia per la svolta a destra in attesa del verde per attraversare l’incrocio. Alle lamentele degli automobilisti che rimango come degli idioti ad attendere i suoi comodi lui risponde con fare provocatorio e dimostrando irragionevolmente le sue ragioni.

martedì 21 luglio 2009

Succede anche questo

Un’azienda ha deciso di scegliere come sponsor per una sua linea di prodotti un testimonial di eccezione: una bellezza sud americana fidanzata con un famoso paparazzo che ha avuto problemi con la giustizia.

Il giorno dell’incontro per la definizione del contratto, la direzione dell’azienda dapprima pensa di mandare una mail nella quale si specifichi che dalle 11 alle 12,30, a causa di un’importante visita, nessuno avrebbe dovuto lasciare la propria scrivania, percorrere il corridoio, affacciarsi alle porte, e i dipendenti avrebbero potuto recarsi in bagno solo per comprovate e urgenti esigenze, pena il licenziamento immediato. Quindi la direzione consigliata forse da un avvocato ha optato per una soluzione che non lasciasse strascichi: la responsabile del personale, ha ripetuto a voce ufficio per ufficio le norme di comportamento e le eventuali sanzioni che avrebbero dovute essere spedite via email, in occasione di questa importante presenza in azienda.

La stragrande maggioranza di dipendenti si chiede ancora chi sia stato l’importante ospite, e soprattutto il perché di queste misure restrittive e punitive. Cosa sarebbe potuto accadere? Moltitudini di dipendenti deliranti che si accapigliano per un autografo? Voci di dissenso e proteste con fazzoletti verdi? Non lo potremo mai sapere, qualcuno per non cedere alla tentazione si è legato alla scrivania, altri hanno usato il cestino come padella, altri ancora si sono sfogati raccontando l’accaduto agli amici, che sono rimasti senza parole.

lunedì 20 luglio 2009

Dei barboni tutti se ne dimenticano ...

Dei barboni tutti se ne dimenticano e forse per questo motivo sono dei barboni.

Dopo quasi 15 giorni che facevo la stessa rotatoria per tornare a casa, una sera mi sono accorta che sull’unica panchina all’interno della rotatoria, protetto da una pianta che sembra una palma nana e malconcia dormiva un barbone. Anzi, ho scoperto poi che di sera stava seduto e beveva cartoni di vino, di giorno invece dormiva coperto con scatole e cartoni. Si può dire che il cartone sia un suo riferimento. Una mattina che andavo al mercato ho visto che era sveglio così gli ho chiesto se potevo comprargli qualcosa, lui ha provato a mettere in fila delle parole comprensibili insieme a un’alitata mefitica e mi ha detto che voleva il vino. Ho provato a fargli capire che di vino ne aveva anche troppo, così come di cicche di sigarette, gli ho offerto un panino con il formaggio e una bottiglia d’acqua, lui ha guardato prima il panino che ha messo in tasca e la bottiglia d’acqua e mi ha risposto che così avrebbe potuto darsi una sciacquata. Un’altra volta tornando dal mercato gli ho lasciato una busta con un pollo allo spiedo e un paio di banane, ma lui dormiva e non ha neppure aperto gli occhi al frusciare della busta di plastica vicino alla testa.

Poi una sera tornando a casa stavo pensando a una fantastica doccia che mi avrebbe tolto tutta la puzza del giorno da dosso, mi sono accorta che nella rotatoria non c’era più la panchina. Solo dopo qualche secondo ho realizzato che con la panchina era sparito anche il suo occupante. Ho pensato che essendo a ridosso del g8 potesse essere una misura provvisoria di pulizia della città. E così per un po’ mi sono dimenticata del barbone. Non l’ho più visto e me ne sono completamente dimenticata, non ho chiesto neppure alla signora che sta alla cassa del panettiere che sa della vita di tutti (anche della mia, anche se la nostra conversazione è limitata al buongiorno, quant’è, grazie e arrivederci) se sapeva cosa fosse successo alla panchina, perché non fosse più al suo posto e soprattutto del barbone.

Passato però il g8 la panchina non è tornata al suo posto, e del barbone nessuna traccia, nessun cartone di vino vuoto a segnare la sua presenza come quella di pollicino con le briciole. Da giorni volevo scrivere di lui sul blog, segnalare la sparizione, ma me ne sono sempre dimenticata, mi tornava solo in mente quando mi trovavo alla rotatoria ormai disabitata.
Sabato mattina mentre andavo a prendermi il giornale e fare bancomat su un muretto sotto il sole caldo delle undici, vedo il barbone della rotatoria, è sveglio, ha davanti e intorno a se ha i segni della sua cartonosa presenza. Gli vado incontro e gli chiedo se ha fame, ovviamente mi risponde che ha sete, io gli dico che il vino non glielo compro, ma lui mi stupisce dicendomi che ha sete di cappuccino. Va bene, cappuccino e cornetto!, e lui prova a ridere.

Questione morale nr.3

Venerdì sera mentre uscivo dalla redazione sono passata davanti a una vetrina di un negozio d’abbigliamento molto fuori dalla portata economica di un free lance o di un a progetto. Mi è capitato di buttare uno sguardo veloce perché attratta da un giallo acido sgargiante e immettibile, quando discretamente appoggiata al pavimento ho riconosciuto una sagoma che avevo visto qualche giorno fa su diversi giornali niente meno che le borse che la sindachessa di roma regalò alle signore del g8. Incuriosita mi sono avvicinata per vedere dove potranno riporre portafoglio, cellulare, occhiali, fazzoletti di carta, burro cacao, documenti della macchina e giornali le ladies g8…sinceramente non è questo gran che. Molto più di un gran che è stata invece la scoperta del prezzo:1180 euro. Come al solito mi sono riempita di dubbi e domande. Ma lo sa il sindaco quanto ha speso la moglie? È etico per un comune con così tanti problemi come roma affrontare delle spese di rappresentanza così alte? È morale regalare una borsa il cui costo è uguale allo stipendio mensile del 40 per cento degli italiani? Saranno anche pezzi unici, realizzati con dei pezzi di tessuto dipinto da donne africane, ma alle autrici di quei disegni quanti soldi arrivano veramente?

venerdì 17 luglio 2009

Diritto di parola

La Federazione internazionale dei giornalisti, il più grande e antico sindacato della stampa con sede a Bruxelles, ha espulso la branca israeliana affiliata all’organizzazione, così Giulio Meotti sul Foglio apre un articolo dal titolo “L’internazionale dei giornalisti caccia Israele. Voto unanime, con italiani”. Solo qualche giorno fa, il 14 luglio, era stato programmato uno sciopero (poi revocato) da parte della stampa italiana per protestare sui bavagli dell’informazione, e poi a Bruxelles si decide di allontanare dei giornalisti da un sindacato, non dargli quindi credibilità o quantomeno visibilità. Allora mi chiedo e chiedo: chi può e chi non può decidere cosa sia giusto scrivere e cosa no? Non esiste il rischio che limitando i punti di vista si nascondano delle notizie? E non esiste il rischio che censurando le notizie si abbia sempre e solo un unico punto di vista?
Personalmente non voglio credere a complotti antisemiti o fare paragoni con la storia passata, non ne sarei all’altezza, ma da giornalista vorrei poter avere sempre accesso al più vasto numero di fonti e di informazioni, senza censura e senza bavagli.

Questione morale nr.2


Il mio Nokia continua a squillare, e in Iran continuano gli scontri tra polizia e sostenitori del leader dell'opposizione, Mir Hossein Mussavi. Oggi dopo la preghiera del venerdì sono scoppiate nuove contestazioni nel centro di Teheran. La polizia ha usato lacrimogeni per disperdere la folla, e sembra che due ragazze siano state accoltellate. Durante il sermone l’ex presidente iraniano, Akbar Hashemi Rafsanjani, avrebbe detto che “l'Iran è un paese in crisi. Abbiamo perso tutti e abbiamo bisogno di più unità . Questo sermone - ha concluso Rafsanjani - dovrà essere l'inizio del cambiamento del futuro”.

mercoledì 15 luglio 2009

Questione morale

Mi è capitato di leggere ormai da qualche giorno che dall’Iran è iniziata un’azione di boicottaggio nei confronti della Nokia. Gli utenti di internet iraniani hanno messo in rete un documento nel quale viene documentata come l’azienda svedese abbia fornito (a pagamento) al regime di Ahmadinejad un sistema di controllo elettronico per fare intercettazioni telefoniche e censurare i siti internet. Ora tutte le volte che squilla il mio cellulare Nokia mi sento complice e connivente di un regime dittatoriale. Due le soluzioni: calpestare il cellulare con disprezzo e comprarne uno nuovo; mettere in atto una sorta di sciopero rispondendo selettivamente le chiamate (no alle telefonate di lavoro, a quelle che preannunciano tragedie, ai no numero, ai debitori).

Sintomi e sindromi

Non è solo la calunnia, come canta l’aria del barbiere di siviglia, un venticello che si introduce velocemente nella testa delle genti (“La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile sottile leggermente dolcemente incomincia a sussurrar. Pian piano, terra terra va scorrendo va ronzando: nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar”) anche le paure quanto a girare veloci non le batte nessuno. È bastata una telefonata ascoltata involontariamente, sentire le parole influenza suina (che sarebbe stata contratta da un parente di ritorno dall’inghilterra) per scatenare il panico.

La notizia mezza origliata e mezza ricostruita, ha fatto ancora più paura perche è stata concomitante con le dichiarazioni del vice ministro della salute, sui dati della pandemia e sul programma di vaccinazione nazionale a partire dall’autunno. Sulla email personale mi sono arrivati i metodi di contagio, di prevenzione e ovviamente i sintomi di come riconoscere l’influenza suina. Ho analizzato i sintomi e questi sono stati i risultati:

Febbre superiore ai 38° MI MANCA
Mal di testa CE L'HO
Stanchezza CE L'HO
Tosse secca MI MANCA
Faringite o mal di gola CE L'HO
Naso chiuso MI MANCA
Dolori muscolari ed articolari CE L'HO
Respiro affannoso MI MANCA
Brividi MI MANCA
Affaticamento CE L'HO
Malessere CE L'HO
Sudorazione CE L'HO
Perdita di appetito CE L'HO
Vomito MI MANCA
Diarrea MI MANCA

8 su 15; che fare?

giovedì 9 luglio 2009

Regali


La notizia non è che per fare un paio di chilometri sono, e siamo, costretti a farne il triplo (le strade della città infatti sono inspiegabilmente bloccate, ma il G8 non doveva essere all’Aquila?), o che ieri verso le 14 via nazionale sembrava una strada in una assolata e calda giornata estiva dopo un attacco nucleare (mi sono trovata ad assistere a due convogli di macchine nere ululanti che si incrociavano dai cui finestrini e portelloni del bagagliaio abbassati spuntavano le sagome di mitra o armi simili); i regali sono invece la vera notizia.

Da un paio di giorni leggo di prestigiosi regali e doni tra i potenti della terra, insomma un po’ se babbo natale facesse i regali a santa klaus e alla befana. I primi ad essere “aperti” sono stati dei giacconi blu presidenziali di una prestigiosa marca inglese, che sembrerebbe abbia vestito anche nientemeno che Lawrence d'Arabia negli anni del suo ritorno in Inghilterra, o Che Guevara ed Arthur Miller. Il cavaliere (Silvio B.) avrebbe commissionato e acquistato personalmente una di queste giacche personalizzate (mi sembra di ricordare che il modello si chiami presidential) per ciascuno dei potenti del mondo. È stata quindi la volta di aprire i regali della signora “sindachessa” di Roma, creati appositamente per le signore. Una borsa ecologica realizzata artigianalmente da donne operaie africane in Camerun (vado a memoria) ed assemblate da abili artigiani italiani; ogni borsa è un pezzo unico, e reca disegni etnici o frasi che fanno riferimento all’emancipazione femminile o alla tutela e salvaguardia dell’ambiente.

Prima di arrivare al pezzo forte (il pacco più grosso che si tiene per ultimo), merita una riflessione il caso Merkel e quello Zuma. Nel caso tedesco sarei curiosa di sapere come ha funzionato la consegna dei regali alla coppia. Angela si è beccata il giaccone maschile che ingoffa e insacchetta, mentre il signor Joachim si è beccato la borsa ecologica, oppure arrivata a casa Angela ha tenuto per se la borsa e passato al marito il giaccone? Ma anche in questo caso il cavaliere come si è regolato? Ha fatto preparare un giaccone con le misure di Joachim? Oppure ha dato lo scontrino ad Angela dicendole che avrebbe potuto cambiare le sue misure con quelle del marito? Per quanto riguarda invece Zuma, quella che è arrivata a Roma è una delle tre consorti, e immagino che una volta di ritorno a casa, nel momento del disfacimento delle valigie, le altre due inizieranno sicuramente a chiedere al povero Jacob cosa gli sia stato portato dall’Italia, e senza borse ecologiche (che hanno letto e visto su tutti i giornali), inizieranno i lamenti, i litigi e le recriminazioni “perché hai portato lei e non me? Cos’ha lei che io non ho?”. Insomma una brutta mezz’ora. Anche in questo caso mi chiedo come si sia regolata la signora sindachessa: ha preparato altri due pacchetti che di nascosto ha consegnato allo staff in modo che siano consegnate alle altre signore Zuma? Oppure ha fatto finta di nulla, facendo risparmiare al marito sull’acquisto di due borse?

L’ultimo regalo consiste infine in un libro (prezioso) d’arte sul Canova. E siccome è troppo lunga e particolareggiata la descrizione del cadeaux la copio direttamente dalle agenzie: “Un libro d'arte monumentale, realizzato con materiali preziosi (marmo statuario di Carrara per la copertina, carta fatta a mano, broccati di seta e fili d'oro per la rilegatura) messi a disposizione gratuitamente da 23 maestri artigiani italiani. L'invenzione della bellezza, l'omaggio voluto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per i Capi di Stato che intervengono al G8 dell'Aquila. Il volume, che pesa 24 kg, e' accompagnato da due cofanetti (in legno di frassino e mogano rifiniti manualmente in foglia d'oro) contenenti un sontuoso segnalibro e una lente, nonché gli inni nazionali calligrafati e miniati”. Ventiquattro chili di libro!! Non voglio immaginare quanto gli toccherà pagare al check-in quando saranno pesate le valige.

Ma il mio dubbio principale è un altro: in genere i regali non dovrebbe farli l’ospite al padrone di casa? Insomma non funziona che se io vado a trovare qualcuno gli porto un pensierino? Una bottiglia di vino o un dolce per un invito a una cena informale, un mazzo di fiori per uno più formale, un regalo più impegnativo per particolari circostanze? Questo modello di comportamento sembra autorizzare l’ospite a scroccare oltre all’invito anche un ulteriore regalo. Aiuto! Non ci capisco più nulla. Santa Lina Sotis, Beata Cristina Parodi, date una risposta a questi miei atroci dubbi.

mercoledì 8 luglio 2009

Non lavorare uccide…



…ma anche lavorare uccide.
Con la recessione e la disoccupazione sono aumentati i suicidi, gli omicidi e gli attacchi cardiaci mentre sono diminuite le vittime degli incidenti stradali. Sono questi i più importanti risultati emersi da una
ricerca, pubblicata sul Financial Times, dell'Università di Oxford e della London School of Hygiene and Tropical Medicine che ha analizzato gli effetti della situazione economica sui tassi di mortalità in 26 paesi europei tra il 1970 e il 2007. I ricercatori volevano verificare le due teorie contrastanti circa i risvolti della recessione secondo cui la crisi fa aggravare i problemi di salute o fa cambiare in meglio alcune abitudini. Risultato? I diversi fattori più o meno si compensano, cioè ne sì ne no per entrambe le circostanze. Però sono stati fatti dei distinguo tra paese e paese: l'impatto della recessione è più forte dove la spesa sociale è bassa, come nell'Europa orientale, e inferiore dove è elevata, come in Scandinavia. Dove la spesa sociale per i lavoratori supera i 190 dollari pro capite all'anno, i suicidi non seguono l'andamento dell'occupazione. In Gran Bretagna, dove se ne spendono 150, si possono stimare tra i 25 e i 290 suicidi all'anno in conseguenza diretta della crisi finanziaria.
Comunque a un incremento del tre per cento della disoccupazione si associa un aumento del quattro per cento dei suicidi e del sei per cento degli omicidi e una flessione del quattro per cento degli incidenti stradali mortali. C'è inoltre una relazione significativa tra recessione e attacchi cardiaci negli uomini di età compresa tra 30 e 44 anni: l'incremento delle morti per infarto in questo gruppo è dello 0,86 per cento per ogni punto percentuale in più del tasso di disoccupazione.

martedì 7 luglio 2009

Teletrasporto

Da quasi un ora la mia collega sta facendo il bollettino di guerra delle strade chiuse a roma per il G8. A quanto pare la zona intono a palazzo grazioli è chiusa e presidiata (chissà che fine ha fatto il mio motorino che ho parcheggiato ignara del tutto questa mattina poco prima delle nove); anche via barberini sembra chiusa, così come via veneto e via bissolati. Ovviamente ogni chiusura viaria è accompagnata da un urletto o da un “ma no? anche..”, che alla consapevolezza di trovare la città mezza chiusa e impraticabile aggiunge stress e irritazione. Comunque mi sono messa a cercare su google maps un percorso alternativo per arrivare in piazza della repubblica. Praticamente se tutto va bene, se cioè riesco a prendere il motorino dalla zona presidiata (e proprio stamani chissà cosa mi è saltato in mente di vestirmi in nero – le scarpe però sono verdi a fiori rosa bianchi e rossi e forse mi danno un aspetto più rassicurante), potrei arrivare al circo massimo, per girare intorno al colosseo quindi via cavour, piazza dell’indipendenza e scendo finalmente in piazza delle repubblica. Praticamente un viaggio, accompagnato dall'ansia dello sciopero dei benzinai sino a venerdì.

lunedì 6 luglio 2009

Donne, libere e felici?

Mentre cercavo dei dati e delle informazioni nell’archivio cartaceo, mi sono imbattuta su un ritaglio (conservato solo perché il retro di una pagina sul futuro del bipolarismo) dal titolo Donne 2009: più libere e meno felici. Non ho avuto il tempo, ne la voglia di leggere tutto l’articolo perché sembrava abbastanza noioso, in meno di 2 colonne erano citati i nomi di almeno una quindicina di economisti e sociologi, nonché riferimenti ad articoli e tesi quali happiness economics, the paradox of declining female happiness, bowling alone e anche un middletown, a study in modern american culture. (La parte più interessante è un mappamondo tutto colorato, che mostra come le donne più felici vivano in canada, paesi scandinavi, nuova zelanda, austria, irlanda e alcune isole tra la thailandia e l’australia; le più infelici in tutta la russia e paesi ex-urss, in cina e i molti paesi dell’africa. In europa le donne non sono né felici né infelici, essendo colorati i vari stati in blu e viola (i valori centrali della scala della felicità). Comunque a proposito di libertà e felicità, mi viene da pensare alla mia nonna, che comunque seppur donna nata nel 1916 in un piccolo paese del nord, ha sempre lavorato. Dapprima nell’attività dei genitori, un forno, quindi aprendo una sua attività commerciale. Lavorava poi anche in casa nel senso che come tutte le donne, senza troppi grilli per la testa, puliva e preparava da mangiare (quest’ultima attività peraltro senza particolare trasporto, e i geni non mentono); inoltre lavora nell’orto, vangava, zappava, seminava, e coltivava verdure, per un periodo ha avuto anche delle bestie (polli e conigli) cui doveva provvedere – cibo e pulizie –. Infine cuciva e lavorava a maglia, cuciva vestiti per me, mia sorella, per se e per mia mamma, e lo stesso dicasi per la maglia. Non so se fosse indipendente, nel senso di libera – come nel titolo dell’articolo; sicuramente in molti atteggiamenti era molto vincolata dalla mentalità del “non si deve fare, e poi la gente cosa dice”, cosi non credo sia mai andata a prendere un aperitivo con i suoi amici, o fosse mai andata a fare shopping, però sono sicura che non gli sia neppure mancato, cioè non ne avesse proprio l’esigenza, anche perché a volte prendeva la corriera e andava a carrara o a spezia all’upim o al mercato. E ogni tanto andava in gita. Non so neppure se fosse felice; non le ho mai chiesto se era felice, se la vita che aveva avuto rispondesse ai suoi sogni di ragazzina. Però al contrario di quello che sono le donne indipendenti di oggi, io inclusa, era molto stabile, aveva un equilibrio molto forte, granitico, non era sempre di corsa, sempre in affanno. Quindi forse tutta questa libertà, questa indipendenza, quest’emancipazione sono solo i diversi nomi dell’insoddisfazione.