giovedì 6 agosto 2009

Cibi da spiaggia


Non c’è argomento che tenga; alla faccia del colesterolo, dei trigliceridi, delle diete per affrontare la prova bikini, o della flessione del 4,4 per cento del fatturato nei supermercati a giugno, gli italiani in spiaggia parlano solo o per la gran parte di cibo. Dalla sagra dei muscoli (che da queste parti indicano i mitili) a quella del tordello, dalla cena sotto l’ombrellone a casa dei vicini, alla grigliata di casa propria, dal ristorante consigliato dalla signora che affitta casa, al ristorante di nicchia. Al mare, lontano dai problemi del capoufficio stronzo, del parcheggio, dei figli che non hanno voglia di fare nulla, gli italiani diventano tutti dei fini gourmet e forse è per questo che la televisione propone così tanti programmi dove insegnano a cucinare o dove si sfidano aspiranti cuochi.

Insomma un sorta di dimmi a che spiaggia vai ti dirò cosa mangi. Ieri mattina, ho avuto l’esperienza di ascoltare tutti le eventuali preparazioni per i pranzi, le cene e le merende per bambini da sei mesi a 8 anni. Pappe, omogeneizzati casalinghi, succhi di frutta preparati secondo le ricette di donna e mamma, polpettine di pesce e verdure, tante varietà di paste, o meglio paste speciali che ho scoperto cuociono solo in 4 minuti, informazione da tenere a mente per frenare i miei attacchi di fame da dinosauro che mi porta a svuotare il frigo e la dispensa da tutto ciò che si può divorare immediatamente mentre aspetto che l’acqua inizi a bollire e la pasta si cuocia. Il menù in queste spiagge è ovviamente corredato da notizie e informazioni su pannoloni e loro eventuali proprietà di tenuta, quindi alla fin fine in questi casi si va sempre a parlare del destino ultimo dei vari cibi che le mamme con tanto amore hanno preparato ai loro pargoletti.

Questa mattina invece la spiaggia era frequentata da novelli pensionati, che nella loro nuova libertà hanno ritrovato una specie di seconda giovinezza che li porta a scorazzare da una sagra paesana al ristorante dallo zozzone. I racconti sulle esperienze gastronomiche della serata, sempre pantagrueliche, sono accompagnati da dibattito sull’eventualità di usare l’aglio per insaporire una determinata pietanza, o da rielaborazioni di ricette che hanno assaggiato in diverse varianti ma mai come quella mangiata nel 1973 in quel ristorante sull’appennino gestito da quella coppia che si era ritirata tra le colline dopo una vita in città. All’ora del cappuccino, il rappresentate di ogni nucleo familiare, quello più ferrato di fornelli, un po’ come nelle riunioni di auto-aiuto, propone il menù previsto per l’ora di pranzo, fagioli con le cotiche, cima ripiena, fettine panate, tutti però da mangiare rigorosamente freddi perché con questo caldo vanno giù meglio.

È quasi l’ora di pranzo, la spiaggia si popola di trenta-quarantenni che passano la pausa pranzo al mare o che lavorano part time, aprendo le loro borse frigo iniziano a discutere di calorie e proprietà nutritive di insalate verdi ma un po’ appassite dal sole, di paste in bianco condite con un filo d’olio e verdure crude, che aumentano il transito intestinale, saziano e non fanno ingrassare, di yogurt che sotto il sole sembrano evaporare, o di frutta mangiata solo per le sue qualità: la pesca sgonfia, l’albicocca abbronza, il melone spiana le rughe, l’ananas asciuga, il cocco favorisce la funzione dell’intestino.

Mi alzo, scuoto l’asciugamano, vorrei andare a fare il bagno ma ho l’impressione di aver mangiato troppo, quanto dovrò aspettare prima di digerire tutto questo cibo?

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