lunedì 31 marzo 2008

Precorrere i tempi


Avrei potuto scrivere del cambio di orario che provoca, sono sicura di averlo letto da qualche parte, non solo come nel mio caso una ulteriore difficoltà ad alzarmi dal letto, gravi malesseri in un’alta percentuale di persone. Ma la notizia non sarebbe stata di giornata. Le famose lancette ballerine, che si spostano un ora avanti o un ora indietro a seconda dei periodi, sono, infatti, state spostate ieri.
Avrei voluto scrivere del film che ho visto venerdì sera, che mi è piaciuto veramente molto, in un’ipotetica scala da 1 a 10 avrebbe meritato un 8, ma nonostante l’uscita nelle sale è prevista solo questo fine settimana, è già sulla bocca di tutti, e qualcuno lo sta anche strumentalizzando per la campagna elettorale. A proposito, il film si intitola Juno, e non ha nulla a che vedere con la ridiscussione della legge 194.
Avrei potuto anche non scrivere nulla, in fondo un blog non potrà cambiare il mondo, non si tratta di una cosa essenziale, è solo una vanità personale, o poco di più.
Voglio invece precorrere i tempi. Domani 1 aprile, è il famoso giorno del pesce (Nemo, il pesciolino della Disney ha provato a scalfirne la notorietà, ma non c’è stato verso) e sono sicura che molti, anche di età ragguardevoli, si sono messi a fare bricolage con carta e forbici, per fare gli splendidi, e prepararsi a infestare le schiene di colleghi o amici con bigliettini molto esilaranti, originali, divertenti, mai visti prima. Per tutti questi, ma soprattutto per me ho fatto una ricerca per capire chi sia stato il primo splendido della storia che ha inventato questa tradizione.
E ho scoperto che, come tutte le cose dove esistono tanti esperti pronti a dire la loro, esistono diverse versioni sulla nascita di questa tradizione. Quella che secondo i più è la meno improbabile, fa risalire l’usanza del primo aprile, una vera e propria festa, intorno al 150 a.c., quando questa data segnava l’inizio dell’anno. Più tardi, l’istituzione chiesa soppresse la festa, stabilendo l’inizio dell’anno al primo gennaio; però la vecchia e saggia (mi verrebbe da aggiungere, perché di logica percepisco meglio un inizio dell’anno con il rinascere della natura e della luce, che nel cuore dell’inverno buio, freddo e piovoso) tradizione continuò a sopravvivere tra i pagani che per questo erano derisi e scherniti.
Altra ipotesi che ha i suoi sostenitori, si rifà al rito pagano, legato al calendario giuliano (calendario solare, basato sul ciclo delle stagioni, e sostituito poi da quello gregoriano, quello per intenderci che per far tornare i conti ha aggiunto un giorno ogni 4 anni) quando il primo aprile coincideva con il solatio di primavera. Il primo aprile e i giorni immediatamente prima, segnavano la fine dell’inverno e il risveglio della terra e della vita, per l’occasione si offrivano doni votivi agli dei, e i non-dei festeggiavano con “lazzi, burle e buffonerie”.
Ho sempre pensato che le feste di matrice pagana abbiano una marcia in più, non solo espiazioni o memento mori, e sto già pensando ai lazzi, alle burle e alle buffonerie da proporre alle mie vittime di domani.

venerdì 28 marzo 2008

A tratti deludente

TIT: nonostante il brutto tempo è ancora giorno
SCEMO E PIU’SCEMO: si c’è ancora luce, si può giocare a pallone senza luci
TIT: eh sì perché lunedì quando usciremo alle sei sarebbero le cinque
SCEMO E PIU’SCEMO: mhh, e alle sette le sei
TIT: vero, e alle otto le sette

RETROVIE: perché lunedì mattina a che ora passa la navetta?

giovedì 27 marzo 2008

Aria odorosa

Gli uomini, ma in verità anche qualche donna, non tutte e soprattutto esclusa la scrivente, in alcuni momenti si lasciano andare. O meglio lasciano andare dal loro corpo aria odorosa.
Come diceva Benigni, riferito a un’altra funzione fisiologica, …soprattutto è cosa umana, cioè non è una cosa vergognosa, ne tanto meno è il caso di reprimere gli stimoli. Però come in tutte le situazioni ci sono momenti e luoghi.
E il mio ufficio, decisamente, non è il luogo idoneo: è un piccolo acquario (definito da sole pareti di vetro), poco arieggiato e occupato da sole due persone. Situazione che esclude la presenza di un capro espiatorio.
Dal rientro della pausa pranzo, guardo negli occhi il mio collega che stava comodamente seduto sulla poltrona tutto indaffarato a tergiversare sull’uscita clandestina della sera precedente, e speravo che lo sguardo tra il severo e lo schifato fosse ragione sufficiente per un atto di contrizione. La reazione è stata uno sguardo di ammiccamento: “Capito ele!!, io esco tutte le sere con donne diverse che si litigano per me”. La mia risposta muta è stata quella di sostenere lo sguardo con un: “Forse perché non hanno avuto l’occasione di sentire gli odori che sei in grado di produrre”.

venerdì 21 marzo 2008

Equinozio…


Here comes the sun, here comes the sun And I say it's all right Little darlin' it's been a long cold lonely winter Little darlin' it feels like years since it's been here Here comes the sun, here comes the sun And I say it's all right Little darlin' the smiles returning to their faces Little darlin' it seems like years since it's been here Here comes the sun, here comes the sun And I say it's all right Sun, sun, sun, here it comes

Vigilia di pasqua




D’accordo non è esattamente la vigilia, ma è un po’ come lo fosse…
Tutti, inspiegabilmente, si sentono più disponibili, sorridenti, e userei anche l’aggettivo: buoni.
La pausa pranzo è stato addiritura un conviviale momento di condivisione, di spezzare pizza e colombe in sala mensa. E mi è venuto da pensare, non è che siamo all’ultimo pranzo, e tra queste visi si nasconde quello di giuda?
Poi c’è stato un piccolo incidente diplomatico, un momento di imbarazzo, perché la direzione, sempre così affaccendata e impegnata, si è dimenticata di acquistare "la colomba del dipendente". Fortunatamente.
L’anno scorso, dopo il cadeaux natalizio ci toccò ringraziare anche per quello pasquale: una colomba. Morta.
Qualcuna con le ali spezzate, altre decapitate, altre ancora ferite nel petto.
Pazienza. Sarà per il prossimo anno.
E ora, chiusi tutti i cassetti, archiviati tutti i giornali, messe in ordine tutte le penne nel portapenne, sistemata la scrivania, si aspetta che suoni la campanella di uscita.

mercoledì 19 marzo 2008

Riunioni condominiali



Dopo tutto questo silenzio, scrivere oggi un post ha la stessa valenza terapeutica di un massaggio.
Ieri sera rientravo a casa sullo stravolto andante e ho trovato sul portone d’entrata un foglio bianco con su scritte delle cose. I soliti problemi condominiali.
Non che sia un’assidua frequentatrice di riunioni condominiali, anzi ho sempre evitato di rientrare o uscire da casa, ossia di passare nei paraggi di casa, all’orario e nel giorno stabilito per la riunione; ma le riunioni condominiali hanno il potere di lasciare dietro di loro larve di voci e di documenti scritti.
I primi tempi di vita cittadina, ero vessata dal divieto di far uscire “acqua dai pisciarelli”; e il problema pisciarelli, incurante di tutte le tragedie planetarie, è andato avanti per quasi cinque anni, il tempo della mia permanenza nello stabile. Chissà come è andata a finire? Se a distanza di tempo intorno al palazzo gira ancora la ronda anti-pisciarello? Comunque sia, dietro al pisciarello si nascondeva le temutissime canaline di scolo dei terrazzi, che si pretendeva fossero chiuse ermeticamente con il silicone, per creare tante piscine private sui propri terrazzi.
Nel successivo trasloco, mi sono imbattuta con il problema parcheggio della bicicletta, il problema da condominiale era diventato pertinente a tutto il vicolo, un condominio allargato. C’erano persone che avevano acquisito il diritto, per anzianità credo, per parcheggiare la bicicletta all’inferriata della mia finestra; e le poche volte che osai legarla alla finestra di fronte scatenai le furie di un comitato cittadino. Non mi rimase che portarla dentro e fuori casa ogni volta.
Nel penultimo condominio, un vero e proprio porto di mare, di problemi ce ne erano parecchi, forse talmente tanti che dalle riunioni condominiali si era passati a una forma di informazione door to door; praticamente si sequestravano i condomini nell’ascensore e nel tempo di una salita o discesa i rappresentanti di scala riuscivano a comunicare e a estorcere tutte le informazioni necessarie per lettere anonime e liste di proscrizione. Una sera rientrando stanca e particolarmente tardi sbagliai scala di entrata e di conseguenza ascensore, fu un’esperienza devastante.
Ritornando al foglio sul portone di ieri sera, ho avuto la tentazione di tirare dritta e fare finta di non vedere nulla, intanto prima o poi capita che mi acchiappa il portiere e mi fa la relazione, poi però ho ceduto alla curiosità e mi sono fermata a leggere. Una delle abitante si interrogava e interrogava le altre persone circa la funzione delle fioriere nell’androne, o meglio non tanto delle fioriere in generale, ma di quelle fiorire in particolare che si presentano un po’ scrostate e arrugginite, e conferiscono all’insieme un’ aria di decadenza e trasandatezza, tipica di molti degli abitanti dell’immobile. Quindi secondo il suo supremo senso estetico sarebbe stata cosa buona e giusta rimuoverle il prima possibile.
Con i passi pesanti e stanchi mi sono trascinata davanti alla porta di casa pensando: forse è venuto il momento per un altro trasloco?

martedì 11 marzo 2008

Messaggi subliminali

È un momento, lavorativamente parlando, difficile; un cambio al vertice dirigenziale, porta i dipendenti a strani giochi di potere interni. Nei corridoi sfrecciano pericolosi coltelli alle spalle e autodafè degni della santa (si fa per dire) inquisizione.
Per evitare abusi e overdose di malox e citogel, cerco di osservare la situazione con sguardo distaccato, assumendo un atteggiamento da saggio (qualche sera fa Luigi ha speso ore e ora del suo tempo ad insegnarmi esercizi di rafforzamento della volontà e del pensiero; ovviamente nessuno dei suoi insegnamenti è stato messo in pratica. Colpa mia, ma questi esercizi richiedono troppa fatica e costanza, qualità, quest’ultima, che manca da un po’ di anni dal mio vocabolario).
Tornando nel merito del disquisire, in questi giorni l’azienda ha superato la verifica ispettiva per il mantenimento della certificazione di qualità, ossia l’ufficio contabilità ha staccato l’assegno di qualche migliaia di euro per mantenere il bollino della qualità sulla carta da lettera e sui bigliettini da visita aziendali.
Per comunicare il conseguimento di un così importante risultato il responsabile qualità interno questa mattina ha mandato a tutti una comunicazione nella quale si ricordava che anche per quest’anno… l’avevamo sfangata. Una semplice mail di servizio, senza particolari messaggi subliminali, almeno così credevo.
Ma a stretto giro di email, come il susseguirsi di tuoni fulmini e acqua in un temporale, sono arrivate risposte da tutti i vari uffici, o come li chiamano da queste parti, che fa molto più figo, business unit.
È iniziato con un “complimenti per il lavoro svolto” dal sapore di una generica benedizione urbis et orbis anche se non si capisce bene in virtù di quale autorità conferita, seguita dalla risposta di un ufficio particolarmente piccato di essere stato il secondo a complimentarsi. E’ stata la volta di una congratulazione personale esplicitata in un “da me in particolare”, le solite manie di protagonismo; a cui ha fatto eco le congratulazioni “anche da un particolare ufficio” con ben 2 punti esclamativi (qui la gioia per l’evento dovrebbe essere stata particolarmente sentita).
E che gli altri possono essere da meno? Non sia mai, e di seguito altre risposte di felicitazione “a chi finalmente sa apprezzare gli ottimi risultati raggiunti” detto tra noi solo chi l’ha scritto riuscirebbe a dare una spiegazione comprensibile di quello che voleva dire, ma l’importante era esserci. Causa un piccolo contrattempo con conseguente ritardo nell’entrata dell’autore, la risposta delle risposte è stata divulgata solo alle 9,45 :“Faccio sentite congratulazioni anche dall'ufficio tal dei tali. Spero che questo positivo passo in avanti possa essere un punto fermo per uno sviluppo costante e produttivo dell'azienda”, seguito dalla firma cognome e nome, preceduta da un non passamaidimoda e puòsempretornarcomodo Dott.
Sono seguiti diversi “complimenti a tutti”, da e a porci e cani, per finire con un ermetico “un atto dovuto”.
Stupiti dal silenzio del mio ufficio c’è chi è venuto a chiedermi spiegazioni e chi mi ha addirittura chiamato lamentando la mancanza di un comunicato stampa adeguato da parte dell’ufficio comunicazione.
Così ho aperto l’icona scrivi di mozilla thunderbird, e facendo mie le lezioni di lessico ho iniziato a scrivere “ ‘sti cazzi (non usando in questo caso il diminutivo) dall’ufficio comunicazione”, un attimo di titubanza nel fare invio, durante il quale ho pensato all’affitto da pagare, e ho cancellato tutto.

lunedì 10 marzo 2008

Luoghi comuni

Posso dire che mi sono scocciata di tutta questa pioggia?
Stamani, come consueto da un po’ di giorni, dopo aver aperto la serranda, trovo sempre il cielo grigio e nuvoloso (la prima goccia aspetta a scendere che stia uscendo dal portone). Oggi però ho deciso di indossare le calze nere con le ranocchie verdi, che ho comprato tanti anni fa in Irlanda. Che centrano le calze con la pioggia? Niente.
Però si dice che queste giornate ricordino tanto la situazione meteo abituale dell’Irlanda, e forse ho collegato le mie rane al tempo piovoso.
In realtà, quello che ricordo dell’Irlanda non è stato certo un tempo piovoso, sebbene fosse dicembre le giornate erano quasi tutte soleggiate. Mentre ricordo la Sicilia particolarmente piovosa, un fine agosto inizi di settembre di diverso tempo fa, non una giornata senza pioggia; anche se i cartelloni avevano pubblicizzato una regione con 365 giorni di sole l’anno. Vai a fidarti dei luoghi comuni.

giovedì 6 marzo 2008

La 25a ora

La mattina ho un caratteraccio, sono nervosa, nevrotica, intollerante, acida, insofferente, (per non parlare di mattine come queste che sono costretta ad alzarmi presto mentre fuori piove, e so che da li a poco avrò le scarpe umide, i vestiti umidi, i capelli umidi, e sarò umida per tutto il giorno), tutto sommato la mattina riesco a dare il peggio di me.
Quello che maggiormente non tollero è la presenza di altri esseri viventi nel mio raggio d’azione, che intralcino i mie movimenti, le mie iniziative personali, la mia traiettoria. Mi infastidiscono le persone che occupano tutto il marciapiedi e che mi costringono a scendere, a schiacciarmi contro il muro, a fare lo slalom. Mi infastidiscono le persone indecise dentro al bar, suvvia puoi scegliere questo cornetto, senza esitazioni, senza tentennamenti, senza “quasi quasi oggi provo”. Mi infastidiscono le persone che senza motivo occupano le porte di salita o discesa degli autobus, e non si muovono neanche a gambizzarli. Mi infastidiscono quelli che in motorino non si fermano agli attraversamenti pedonali, passandoti davanti o dietro, con aria di sufficienza; ancora di più mi infastidiscono quelli in macchina che non si fermano agli attraversamenti pedonali, pretendendo di avere ragione e guardandoti con delle facce con su scritto “devo andare a fare una cosa importantissima”.
Mi infastidiscono quelli che invece di camminare, passeggiano, rallentando il flusso.
Mi infastidiscono i piromani peripatetici cioè quelli che tengono la sigaretta a passeggio tra la folla. Mi infastidiscono quelli che appoggiano un attimo la macchina sul marciapiede, e poi a fianco a loro un altro appoggia un attimo un’altra macchina, e così facendo mi costringeno a passare al centro della strada.

“…In culo agli agenti di borsa di Wall Street, che pensano di essere i padroni dell’universo; quei figli di puttana si sentono come Michael Douglas/Gordon Gekko e pensano a nuovi modi per derubare la povera gente che lavora. Sbattete dentro quegli stronzi della Enron a marcire per tutta la vita… e Bush e Chaney non sapevano niente di quel casino?! Ma fatemi il cazzo di piacere! In culo alla Tyco, alla ImClone, all’Adelphia, alla WorldComIn culo ai Portoricani: venti in una macchina, e fanno crescere le spese dell’assistenza sociale… e non fatemi parlare dei pipponi dei Dominicani: al loro confronto i Portoricani sono proprio dei fenomeni. In culo agli italiani di Benson Hurst con i loro capelli impomatati, le loro tute di nylon, le loro medagliette di Sant'Antonio, che agitano la loro mazza da baseball firmata Jason Giambi, sperando in un’audizione per I Soprano. In culo alle signore dell’Upper East Side, con i loro foulard di Hermes e e i loro carciofi di Calducci da 50 dollari: con le loro facce pompate di silicone e truccate, laccate e liftate…Non riuscite a ingannare nessuno, vecchie befane!
…In culo a questa città e a chi ci abita. Dalle casette a schiera di Astoria agli attici di Park Avenue, dalle case popolari del Bronx ai loft di Soho, dai palazzoni di Alphabet City alle case di pietra di Park Slope e a quelle a due piani di Staten Island. Che un terremoto la faccia crollare. Che gli incendi la distruggano. Che bruci fino a diventare cenere, e che le acque si sollevino e sommergano questa fogna infestata dai topi…”
La 25a ora –Spike Lee.

mercoledì 5 marzo 2008

Questioni di lessico

Il primo ostacolo che deve affrontare l’immigrato è sicuramente un ostacolo di tipo linguistico. Infatti, l’integrazione avviene solo nel momento in cui si acquisisce una certa padronanza della lingua del paese ospitante: la padronanza linguistica consente di confrontarsi, capirsi con i locali, e avere un certo peso all’interno della nuova comunità.
Però per quanto possa sembrare strano, la differenza linguistica non riguarda solo persone appartenenti a nazioni diverse. Così, almeno, è stato per me, quando mi sono spostata a Roma; nei primi tempi mi capitava di sentire cose per le quali non riuscivo a cogliere il significato preciso. Tutto iniziò con un “sta robba è un tajo” e fino a robba non mi serviva un grande sforzo immaginativo, ma tajo? che cosa voleva dire? che la cosa era positiva o negativa?
Da allora, ebbi coscienza che l’italiano non era affatto la nostra lingua comune, ma esisteva un gergo, che non era semplicemente il classico gergo dei giovani, delle tribù metropolitane, delle compagnie, ma un modo di parlare molto più diffuso e comune dell’italiano stesso, una lingua locale per iniziati, che separava gli oriundi da tutti gli stranieri.
Sebbene sia strano sentire libbro, sabbato, borza e sensibbile, la strada per l’integrazione passa per l’acquisizione della lingua locale. E così, a distanza di anni, nel mio vocabolario, anche se non eleganti, non solo per la loro brusca e schietta brevità, sono entrati due modi di dire indispensabile nella quotidianità cittadina: meco e stica.
Meco e stica sono un’abbreviazione ( è abbastanza intuitivo capire di cosa), e meco indica un senso di compiacimento, è una specie di però!!! elevato all’enne; stica, invece, può esprimere un senso di ribellione o un chissenefrega. Seppur assonanti, in merito agli attributi di riferimento, è essenziale non confonderne l’uso, valutando quale sia la forma più opportuna per ciascuna circostanza. Pena l’esclusione dal cerchio magico della comunicazione per iniziati.

P.s. Sempre a proposito di lessico, sta andando avanti la raccolta di materiale per la stesura di un dizionario illustrato di lingua quasi italiana, ispirato da una cara collega. Di oggi:
Mi sono persa di vista: c’è chi, per aprire le porte della percezione, ha fatto uso di sostanze psicotrope, c’è a chi è sufficiente cornetto e cappuccino.

martedì 4 marzo 2008

Incipit

È successo due volte in pochi giorni, ho ricevuto delle mail da persone che non sentivo da tanto tempo. A dire il vero, solo una era intenzionale, un amico che mi chiede come sto, e cosa sto facendo e si informa se può mandarmi delle newsletter. L’altra, invece, solo con il senno di poi, capisco che era non voluta. Appena arrivata stamani apro la posta e leggo “e soprattutto molto simpatica…………come la figlia” seguito da una foresta di punti esclamativi.
D’impatto, non mi è sembrato una cosa gradevole; è vero, penso, avrei dovuto farmi sentire ogni tanto, mandare almeno gli auguri per natale, che già siamo a pasqua. Però sono fatta così mi dimentico sempre di tutto, e non per cattiveria o per un qualche senso di non meglio identificata superiorità. Mi hanno sempre detto che non dimentico la testa solo perché è attaccata al collo.
Poi il: “come la figlia” mi fa pensare a:“quale figlia?”, io non ho figlie. Quindi non ce l’aveva con me.
Non sarebbe stato un inizio di giornata propizio scoprire di qualcuno che mi reputa antipatica.