venerdì 21 settembre 2007

Autobus notturni


I sintomi di un raffreddore precoce mi impedisce di usare il motorino.
E visto che sono costretta ad andare al lavoro, invece di starmene in malattia, non vedo perché dovrei, oltre al danno anche la beffa, rinunciare alla “vita mondana”. Così, ieri sera per rientrare a casa dalla "vita mondana" ho ri-usufruito, dopo la pausa della stagione calda, del servizio degli autobus notturni. Ben 2 per l’esattezza.
Gli autobus notturni sono un microcosmo separato dal contesto nel quale viviamo. Sono un varco spazio temporale, che si sposta, lentamente o con brusche frenate nelle strade buie della città.
Esteticamente, non si può affermare che siano belli, sono anzi un po’ sporchi, unti e puzzolenti; anche la comodità non è un punto a loro favore, però hanno una qualità unica: in un lasso di tempo di qualche minuto (azzarderei nel definirli pochi i minuti) fanno fare un viaggio intorno al mondo.
Ieri sera, dopo aver guadagnato il mio spazio vitale e assicuratami l’equilibrio, ho alzato gli occhi e le orecchie intorno a me, per gustarmi la proiezione.
Nella parte posteriore dell’autobus, si trovano in genere, le donne africane, quelle che nella mia ignoranza riconduco ai caratteri somatici di tutto quel continente. Sono molto colorate, abbinano con fantasia capi di abbigliamento con tonalità accese e sgargianti, giallo sole, arancione, verde smeraldo, oppure stampati e fiorati che non passano inosservati, non le ho mai viste vestite di nero, marrone, o grigio. Alcune dormono tornando a casa dal lavoro; altre, invece sono dirette al lavoro, in qualche strada scura della città, parlano in modo molto veloce e sembrano lasciare in sospeso le frasi delle loro discussioni pronte ad accogliere il ribattere di altre. A volte, parlano tutte insieme a voce alta, e non si capisce se litigano o scherzano. Secondo me il più delle volte scherzano, perché poi scoppiano in risate ancora più rumorose, incorniciate da larghi e carnosi sorrisi bianchi.
La parte anteriore dell’autobus è invece lo spazio riservato dalla comunità filippina, uomini e donne, ma le donne sono indubbiamente più numerose (mi viene in mente di Lella Costa che scrisse una cosa del tipo, la notte è donna); sono decisamente più discreti nell’abbigliamento e nelle acconciature, parlano a voce bassa, molto velocemente, parlano, parlano, parlano, parlano. Chissà che cosa si staranno raccontando?
Gli est-europei occupano la parte centrale del mezzo. Hanno sguardi tristi, sembrano essere con la mente altrove. Le donne sono per la maggior parte bionde naturali o rosse tinte, tutte con lo stesso tipo di rosso, indossano quelli che chiamo gli ori della prima comunione: la catenina con il crocifisso, gli orecchini a cerchietto, e uno o due anellini al dito. Gli uomini sono ancora più tristi, e molte volte dalle loro tasche esce l’inconfondibile sagoma della bottiglia di alcol senza marca, e senza speranza per una via d’uscita.
Qua e là, dove trovano posto tra gli stanziali, ci sono i turisti che salgono e scendono come grilli. Hanno l’aria spaesata, controllano lo scorrere della città fuori dai finestrini, nella vana speranza di trovare qualche punto di riferimento che li aiuti a trovare la fermata giusta, intanto tra le mani girano e rigirano la mappa della città. Se sono giovani hanno sulle spalle zaini ingombranti, spesse volte con scarpe, non proprio nuovissime, appese fuori, che dondolano allegramente a destra e a manca. Alcuni si inerpicano in improbabili lingue italiane per chiedere informazioni, ma ben presto hanno l’amara sorpresa di scoprire che quasi nessuno è italiano, e i più o non capiscono cosa diavolo cerchino o non essendo del posto non sanno di certo indicargli il B&B Luci della Ribalta, vicino al negozio di pelletteria e alla gelateria Dolci Note. Presa da questo spettacolo, capita che sbagli fermata. Quando scendo, a volte, mi chiedo come sarà la notte di questi sconosciuti, che mi hanno accompagnato sino a casa.

giovedì 13 settembre 2007

Rialzo dei prezzi


Chissà perché finita l’estate tutti i problemi vengono a galla.
Da qualche giorno i giornali si sono sfidati sul caro-spesa; è più costoso il pane a Milano o a Roma? E’ più conveniente il latte intero, però dannoso per il colesterolo, o il latte parzialmente scremato? Nell’analisi dei prezzi si evince che la pasta maccheroni è aumentata di 30 centesimi, mentre la pasta spaghetti è più o meno stabile. E’ risultato inoltre che i gelati sono uno dei generi merceologici che in pochi anni ha subito un aumento del 500%. E vogliamo dimenticare la frutta e la verdura che dal contadino sono acquistate allo stesso prezzo dall’introduzione dell’euro, ma arrivano sulle nostre tavole al costo di un carato. Credo di essere ormai, come tutti, molto edotta sui principi dell’economia domestica, anche se ho una confusione incredibile in testa.
Nel mio piccolo, posso testimoniare che gli aumenti ci sono stati eccome: i tarallini del distributore automatico aziendale sono passati da 35 a 40 centesimi, così come anche i pavesini e il bondì motta, prima erano 45, ora 50 (e la rivelazione è avvenuta lunedì mattina all’ora della merenda, fatta la questua delle monetine e racimolati ben 35 centesimi, con l’ipersalivazione attiva, sono completamente sbiancata davanti all’amara scoperta). Lo stesso dicasi per il cornetto del bar, la cassiera ha preteso qualche centesimo in più; sinceramente non ricordo l’importo del panino del pranzo, comunque vigendo un rigido sistema di monopolio, il negozio, che era già molto esoso prima di questa tornata di aumenti, non credo si sia lasciato sfuggire l’opportunità, quasi legittimata, di ritoccare i prezzi al rialzo. Ho scoperto, sfogliando i titoli dei giornali, che oggi è stato indetto, per fronteggiare tutti questi aumenti, anche lo sciopero della pastasciutta; non avendo approfondito la lettura spero che lo sciopero preveda solo di non acquistare pasta al supermercato, nei negozi, e al ristorante; però se la pasta è già in casa, credo sia lecito cucinarla senza troppi rimorsi di coscienza.
Sebbene il tono sembri alquanto cinico, non sono certamente cose da prendere sotto gamba. E così per fare risparmiare il povero essere umano sui consumi una mente superiore si è prodigata in pubblicazioni di libri, saggi e trattati su come vivere risparmiando.
Ora, non voglio tradire le mie origini, però se si vuole risparmiare sui consumi, non si comprano di certo cose inutili come appunto questi vademecum, che non fanno rivelazioni eccezionali, magari suggeriscono di non usare l’auto e preferire la bicicletta o una bella passeggiata. Ieri mi sono imbattuta su una delle ultime pubblicazioni pubblicizzate, che consigliava di usare un pappone di pomodoro, yogurt, cetrioli, uova da spalmarsi in faccia come sostituto della crema idratante, o di usare le grucce degli abiti come bastoncini per il barbecue. Senza dubbio consigli irrinunciabili, che faranno accumulare capitali su conti esteri.

Poco oltre, nella stessa presentazione, si vagliavano alcuni metodi sostitutivi per le colle; la solita pozione da preparare con sale, farina, acqua e altro; ma, gemma tra le gemme, albume d’uomo ottimo per incollare la carta. Un lapsus freudiano o un semplice refuso di stampa? Da oggi guarderò sicuramente l’uomo con occhio diverso.

martedì 11 settembre 2007

Rettifica

E’ sempre bene mettere i puntini sulle i, sarebbe sempre corretto fare un passo indietro quando si commette un errore, e mi sembra doveroso testimoniare nel bene e nel male quello che avviene.
Qualche tempo fa scrivevo di strettoie, cantieri, lavori che limitavano la circolazione rendendo la vita delle persone più complicata. Ebbene ieri sera, stesso orario e stesse tavole del Tuttocittà della volta scorsa, ho avuto la piacevole sorpresa di non trovare alcun cantiere o strettoia.
Che i lavori siano finiti? Che non siano mai iniziati? Che i cantieri torneranno a tormentare le nostre esistenze tra qualche settimana, quando ai rallentamenti si aggiungeranno anche giornate di pioggia?
Questo non potremo mai saperlo, né, men che meno, pronunciarsi in anticipo.

lunedì 10 settembre 2007

Numeri


Sono arrivata a 3000 km, il contatore misura ben 3000,7 km, i 700 metri oltre il numero tondo servono ad avallare l’impresa.
Li ho percorsi quasi tutti io, sulla ciclette a casa dei miei genitori, che da anni staziona in una stanza che occupavo io, quando ancora abitavo con loro. Non conosco l’arco temporale nel quale ho percorso tutti questi km, anche perché non ricordo da quanti anni avessimo quest’aggeggio, però gli ultimi 60 km li ho fatti in 4 giorni. Con una media di circa 13 km al giorno, ho speso quei 35 - 40 minuti le mattine dopo alzata a leggere libri e a pedalare. Era una questione di principio, il contatore segnava 2943, e non volevo perdermi l’emozione di vedere girare tutti quei numeri…e arrivare al numero tondo di 3000 km. Che se ci si pensa sono tanti; non so dove si possa arrivare percorrendo 3000km, però sono tanti.
Finiti i 3000, ho percorso, questa volta in macchina, 400 km e sono tornata a casa dopo le vacanze. Non era giornata da bollino colorato, e pertanto non c’era traffico, quel traffico che si vede in televisione, con tutte le macchine ferme ai caselli del rientro. Ho viaggiato bene, ascoltando la radio, gustandomi anche il paesaggio che si muoveva fuori del finestrino. Ogni tanto gettavo un occhio su quelle che una volta si chiamavano pietre miliari - oggi dei cartelli di metallo disposti al centro della strada, non più lateralmente – per avere un’idea più precisa di quanto mi mancava ancora alla meta. Passate le quasi 5 ore di viaggio, ho perso un buon 15 minuti a cercare un parcheggio, facendo ben 3 giri dell’isolato. Ho lasciato poi, per la disperazione, la macchina in un vicoletto con tanto di divieto di sosta, ma il numero delle macchine parcheggiate mi ha rassicurato sull’inefficacia di quel divieto (stasera andrò ad ogni modo a dare un occhio alla situazione). Ieri mattina ho camminato a piedi, sono uscita da casa che erano più o meno le 12 e sono arrivata a destinazione che erano più o meno le 13, giusto in tempo per il pranzo, definire la distanza sarebbe abbastanza aleatorio, però è stata una bella passeggiata e anche a passo sostenuto, tant’è che la sera mi sono accorta di avere una vescica sul tallone.
Per finire, stamani ho ripercorso con il motorino l’itinerario a me solito, quei 7 km che mi portano al lavoro, un quasi 20 minuti, perché i semafori la mattina sono sempre rossi. Questi 7 km hanno segnato l’inizio di un periodo meno dinamico, un quasi inizio di letargo.

mercoledì 5 settembre 2007

Odio il rosa




A me , se c’è un colore che non piace è il rosa.
Ho un senso di repulsione per tutto ciò che sia rosa – eccezion fatta per la pantera rosa, ma pensandoci bene credo di preferire l’ispettore Clouseau– il rosa in quanto tale è in grado di scatenarmi forti mal di testa. Odio il rosa.
Credo che tutto ciò sia legittimo, e ritengo di non doverne dare conto a nessuno.
Se non che, da quando ho letto un articolo nel quale veniva dimostrato “scientificamente” che il rosa è il colore che definisce la donna e la femminilità, mi sento chiamata in causa.
Anche perché non è il solito trafiletto letto sui giornali patri, voglio dire, era nientemeno che sull’Economist della scorsa settimana. Ben due pagine, nelle quali, secondo uno studio di una delle tante università sparse per il mondo, ma che scritta sul giornale fa il suo bel effetto, veniva dimostrato la particolare propensione delle donne nel fare shopping e la passione, sempre delle soprannominate, verso il colore rosa.
Ora detta così sembra una boiata, invece lo studio parte da lontano, dai cavernicoli, e dalla suddivisione dei compiti all’interno del nucleo familiare: gli uomini andava a caccia mentre le donne andavano a fare “la spesa” nel bosco. Nel bosco ovviamente non è come al supermercato che vedi la frutta nelle cassette con su scritto fragole o mele o mandarini, nel bosco trovi di tutto, e questo di tutto in qualche modo bisogna selezionarlo.
Così sembra che le nostre lontane lontane lontane antenate avessero sviluppato un buon feeling con il colore rosa, cioè, al colore rosa era associata la bontà, il giusto grado di maturazione, la commestibilità di una bacca o di un frutto.
Mi sembra una strana affermazione. Rosa?!
Io in campagna ci sono cresciuta, e frutta color rosa non ricordo di averne vista molta in giro. Il bosco era, ed è tuttora, alle spalle della casa dei mie genitori , e pure lì faccio fatica a visualizzare tutte queste bacche rosa , forse giusto i lamponi, ma già le more, che sono molto più comuni e resistenti dei lamponi, sono nere.
Ma che cosa portavano a casa? Il rosa non è un colore mangereccio. Il rosa è decorativo.
Ecco da dove hanno origine le lamentazioni degli uomini sull’attività femminile dello shopping.
Questi poveracci, dopo una giornata spesa a correre dietro agli animali, tornavano a casa sudati, sporchi ma soprattutto a mani vuote, e speravano tanto nei risultati delle donne; si aspettavano di mangiare qualche cosa di succoso, dolce, polposo, materno, goloso e invece si trovavano la casa invasa di fiori, fiori rosa.
Di questa mia avversione non ne sono venuta a capo. A fronte del ragionamento fatto finora, forse per me il rosa rappresenta un po’ tutto quello che la società si aspetta da una donna limitandone la sua fantasia.
Molto più semplicemente preferisco il giallo e l’arancione.