I sintomi di un raffreddore precoce mi impedisce di usare il motorino.
E visto che sono costretta ad andare al lavoro, invece di starmene in malattia, non vedo perché dovrei, oltre al danno anche la beffa, rinunciare alla “vita mondana”. Così, ieri sera per rientrare a casa dalla "vita mondana" ho ri-usufruito, dopo la pausa della stagione calda, del servizio degli autobus notturni. Ben 2 per l’esattezza.
Gli autobus notturni sono un microcosmo separato dal contesto nel quale viviamo. Sono un varco spazio temporale, che si sposta, lentamente o con brusche frenate nelle strade buie della città.
Esteticamente, non si può affermare che siano belli, sono anzi un po’ sporchi, unti e puzzolenti; anche la comodità non è un punto a loro favore, però hanno una qualità unica: in un lasso di tempo di qualche minuto (azzarderei nel definirli pochi i minuti) fanno fare un viaggio intorno al mondo.
Ieri sera, dopo aver guadagnato il mio spazio vitale e assicuratami l’equilibrio, ho alzato gli occhi e le orecchie intorno a me, per gustarmi la proiezione.
Nella parte posteriore dell’autobus, si trovano in genere, le donne africane, quelle che nella mia ignoranza riconduco ai caratteri somatici di tutto quel continente. Sono molto colorate, abbinano con fantasia capi di abbigliamento con tonalità accese e sgargianti, giallo sole, arancione, verde smeraldo, oppure stampati e fiorati che non passano inosservati, non le ho mai viste vestite di nero, marrone, o grigio. Alcune dormono tornando a casa dal lavoro; altre, invece sono dirette al lavoro, in qualche strada scura della città, parlano in modo molto veloce e sembrano lasciare in sospeso le frasi delle loro discussioni pronte ad accogliere il ribattere di altre. A volte, parlano tutte insieme a voce alta, e non si capisce se litigano o scherzano. Secondo me il più delle volte scherzano, perché poi scoppiano in risate ancora più rumorose, incorniciate da larghi e carnosi sorrisi bianchi.
La parte anteriore dell’autobus è invece lo spazio riservato dalla comunità filippina, uomini e donne, ma le donne sono indubbiamente più numerose (mi viene in mente di Lella Costa che scrisse una cosa del tipo, la notte è donna); sono decisamente più discreti nell’abbigliamento e nelle acconciature, parlano a voce bassa, molto velocemente, parlano, parlano, parlano, parlano. Chissà che cosa si staranno raccontando?
Gli est-europei occupano la parte centrale del mezzo. Hanno sguardi tristi, sembrano essere con la mente altrove. Le donne sono per la maggior parte bionde naturali o rosse tinte, tutte con lo stesso tipo di rosso, indossano quelli che chiamo gli ori della prima comunione: la catenina con il crocifisso, gli orecchini a cerchietto, e uno o due anellini al dito. Gli uomini sono ancora più tristi, e molte volte dalle loro tasche esce l’inconfondibile sagoma della bottiglia di alcol senza marca, e senza speranza per una via d’uscita.
Qua e là, dove trovano posto tra gli stanziali, ci sono i turisti che salgono e scendono come grilli. Hanno l’aria spaesata, controllano lo scorrere della città fuori dai finestrini, nella vana speranza di trovare qualche punto di riferimento che li aiuti a trovare la fermata giusta, intanto tra le mani girano e rigirano la mappa della città. Se sono giovani hanno sulle spalle zaini ingombranti, spesse volte con scarpe, non proprio nuovissime, appese fuori, che dondolano allegramente a destra e a manca. Alcuni si inerpicano in improbabili lingue italiane per chiedere informazioni, ma ben presto hanno l’amara sorpresa di scoprire che quasi nessuno è italiano, e i più o non capiscono cosa diavolo cerchino o non essendo del posto non sanno di certo indicargli il B&B Luci della Ribalta, vicino al negozio di pelletteria e alla gelateria Dolci Note. Presa da questo spettacolo, capita che sbagli fermata. Quando scendo, a volte, mi chiedo come sarà la notte di questi sconosciuti, che mi hanno accompagnato sino a casa.
E visto che sono costretta ad andare al lavoro, invece di starmene in malattia, non vedo perché dovrei, oltre al danno anche la beffa, rinunciare alla “vita mondana”. Così, ieri sera per rientrare a casa dalla "vita mondana" ho ri-usufruito, dopo la pausa della stagione calda, del servizio degli autobus notturni. Ben 2 per l’esattezza.
Gli autobus notturni sono un microcosmo separato dal contesto nel quale viviamo. Sono un varco spazio temporale, che si sposta, lentamente o con brusche frenate nelle strade buie della città.
Esteticamente, non si può affermare che siano belli, sono anzi un po’ sporchi, unti e puzzolenti; anche la comodità non è un punto a loro favore, però hanno una qualità unica: in un lasso di tempo di qualche minuto (azzarderei nel definirli pochi i minuti) fanno fare un viaggio intorno al mondo.
Ieri sera, dopo aver guadagnato il mio spazio vitale e assicuratami l’equilibrio, ho alzato gli occhi e le orecchie intorno a me, per gustarmi la proiezione.
Nella parte posteriore dell’autobus, si trovano in genere, le donne africane, quelle che nella mia ignoranza riconduco ai caratteri somatici di tutto quel continente. Sono molto colorate, abbinano con fantasia capi di abbigliamento con tonalità accese e sgargianti, giallo sole, arancione, verde smeraldo, oppure stampati e fiorati che non passano inosservati, non le ho mai viste vestite di nero, marrone, o grigio. Alcune dormono tornando a casa dal lavoro; altre, invece sono dirette al lavoro, in qualche strada scura della città, parlano in modo molto veloce e sembrano lasciare in sospeso le frasi delle loro discussioni pronte ad accogliere il ribattere di altre. A volte, parlano tutte insieme a voce alta, e non si capisce se litigano o scherzano. Secondo me il più delle volte scherzano, perché poi scoppiano in risate ancora più rumorose, incorniciate da larghi e carnosi sorrisi bianchi.
La parte anteriore dell’autobus è invece lo spazio riservato dalla comunità filippina, uomini e donne, ma le donne sono indubbiamente più numerose (mi viene in mente di Lella Costa che scrisse una cosa del tipo, la notte è donna); sono decisamente più discreti nell’abbigliamento e nelle acconciature, parlano a voce bassa, molto velocemente, parlano, parlano, parlano, parlano. Chissà che cosa si staranno raccontando?
Gli est-europei occupano la parte centrale del mezzo. Hanno sguardi tristi, sembrano essere con la mente altrove. Le donne sono per la maggior parte bionde naturali o rosse tinte, tutte con lo stesso tipo di rosso, indossano quelli che chiamo gli ori della prima comunione: la catenina con il crocifisso, gli orecchini a cerchietto, e uno o due anellini al dito. Gli uomini sono ancora più tristi, e molte volte dalle loro tasche esce l’inconfondibile sagoma della bottiglia di alcol senza marca, e senza speranza per una via d’uscita.
Qua e là, dove trovano posto tra gli stanziali, ci sono i turisti che salgono e scendono come grilli. Hanno l’aria spaesata, controllano lo scorrere della città fuori dai finestrini, nella vana speranza di trovare qualche punto di riferimento che li aiuti a trovare la fermata giusta, intanto tra le mani girano e rigirano la mappa della città. Se sono giovani hanno sulle spalle zaini ingombranti, spesse volte con scarpe, non proprio nuovissime, appese fuori, che dondolano allegramente a destra e a manca. Alcuni si inerpicano in improbabili lingue italiane per chiedere informazioni, ma ben presto hanno l’amara sorpresa di scoprire che quasi nessuno è italiano, e i più o non capiscono cosa diavolo cerchino o non essendo del posto non sanno di certo indicargli il B&B Luci della Ribalta, vicino al negozio di pelletteria e alla gelateria Dolci Note. Presa da questo spettacolo, capita che sbagli fermata. Quando scendo, a volte, mi chiedo come sarà la notte di questi sconosciuti, che mi hanno accompagnato sino a casa.
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