martedì 30 ottobre 2007

Amore e calorie



Non posso, non posso, a costo di coprirmi di ridicolo,

a costo di essere considerata una donna, una giovane donna per la verità, superficiale, repressa o viziosa a seconda delle prospettive, non posso lasciarmi sfuggire il commentare una specie di schema pubblicato oggi a pagina 17 del Giornale: amore e calorie.

Anche perché quante persone leggono Il Giornale? e far andare perduto, lasciare completamente dimenticato il prezioso inchiostro usato nella stampa sarebbe un vero spreco.

Vorrei vedere in faccia l'autore non tanto dello schema, bensì la faccia dell'individuo che si mette a calcolare le calorie consumate in certi frangenti: è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo.

Questo individuo, che non dovrebbe rientrare tra i 100 uomini più intelligenti del mondo (elenco pubblicato su Repubblica, oggi era il giorno degli schemi e degli elenchi ), ha speso del tempo, e presumibilmente è stato pagato, per calcolare quanto una donna bruci durante un rapporto sessuale, chissà se la donna presa in esame era una di famiglia?, comunque prima di cadere nel pecoreccio, vado a valutare i dati emersi, che riservano non poche sorprese:

togliersi i vestiti da fermi fa bruciare 12 calorie,

togliersi i vestiti correndo per la stanza ben 187 calorie, ovviamente credo che il dispendio calorico valga anche se dopo essersi tolti i vestiti correndo, una qualsiasi donna invece di avere un amplesso se ne vada a letto a dormire tranquilla tranquilla senza strani pensieri.

Quindi questa sera, per bruciare la merendina di oggi pomeriggio, ho deciso, mi metterò a correre per la stanza togliendo maglietta, maglione, gonna, insomma mi spoglierò, gettando i vestiti qua e là per la stanza, in preda a una furia dionisiaca (raccogliere i vestiti e metterli nell'armadio avrà un suo dispendio calorico?)

Togliere il reggiseno con una mano brucia 8 calorie, solo io possiedo reggiseni che per essere slacciati sarebbero necessarie le mani di Shiva?, le calorie bruciate sono tre volte tanto se le mani impiegate sono sia la destra sia la sinistra, anche qui c'è qualcosa che non mi torna, io avrei detto 16 calorie, invece fa 24, mentre l'uso dei denti, una contorsionista, prevede 95 calorie in meno. Non sono Biancaneve, e a ragione mi stupisco quando leggo con “ i denti”, perchè nella premessa allo schema si fa riferiemento alle calorie spese che sono solo quelle della donna. E allora mi si deve spiegare come fa una poveretta a togliere il reggiseno con i denti, o si tratta di rapporto saffico, e fin qui nulla da ribattere, o le calorie bruciate dalla donna sono per la paura che l’uomo possa rovinare irreparabilmente il reggiseno e dopo averlo slacciato lo possa mangiare.

Le mutande non hanno nessun peso sul fattore dispendio calorico, e non sono minimamente prese in considerazione, come dicono a Roma, non sono prorio calcolate.

Finalmente si arriva al dunque: orgasmo

Raggiungere l'orgasmo vale un bel piatto di pasta, il commento l’ho copiato dall’articolo correlato, 315 calorie, e qui eviterei un qualsiasi commento; però c'è anche la possibilità che una donna faccia finta di raggiungere l'orgasmo, e in questo caso come si dice dalle mie parti cornuta e bastonata, le calorie consumate sono solo 122 (per fare prima, avrei voluto tanto mettere un valore approssimativo, ma calcolare un 122 calorie su un finto orgasmo non ha nulla di approssimativo e ho deciso così di riportare i valori precisi di questo studio).

Niente sigaretta, niente baci, nessuna parola, niente di niente, prestazione secca, ci si riveste.

Rivestirsi con calma porta a un consumo di 30 calorie, rivestirsi frettolosamente 86, ma rivestirsi mentre il padre bussa alla porta, oltre alla comparsa delle prime rughe e a ciocche di capelli bianchi, fa bruciare 1.212 calorie. La vestizione che vale invece una tappa del giro d’Italia è rivestirsi mentre la moglie bussa alla porta, se una ha il sangue freddo di non farsi venire un infarto, sono 3.524 calorie in meno, oltre a quelle consumate per scappare correndo, il più lontano possibile.

Che dire? E io antica che volevo iscrivermi in palestra.

Luci e ombre


Tra sabato e domenica è iniziata ufficialmente la stagione invernale, quella lenta, quella di quando fa freddo e piove, quella di quando si sta volentieri sotto le coperte. E alzando gli occhi dalla scrivania guardo oltre la finestra di fronte a me (non che il panorama sia invitante, solo macchine e camion che corrono) e scopro che fuori è nero, fuori è già notte. E’ solo tardo pomeriggio, ma sarà per i vetri oscurati, sarà che non vedo l’ora che finisca questo lunedì, fuori è proprio buio, e forse in qualche cielo, meno sporco di questo, si potrà vedere anche la luce di qualche stella.
Spostando le lancette dell'orologio siamo in grado di spegnere o accendere il sole, di rallentarne il corso.
Ormai è ora di chiudere il computer, la navetta è fuori che aspetta, sento i colleghi che rompono il silenzio della giornata lavorativa, devo prepararmi, pubblicherò queste righe domani mattina, con la luce.

venerdì 26 ottobre 2007

Donne - ossia rapporti umani


Sembrerà strano leggere il titolo donne e poi vedere la fotografia di piedi, ma per tutto esiste una spiegazione.

Di questa settimana due notizie che sicuramente potrebbero cambiare l’esistenza di milioni di individui: “le donne (di successo) fanno paura agli uomini” (la parentesi è una mia licenza), e “donne, mare e libertà”. Uno dei tanti imperdibili trattati di sociologia da sala mensa, sostiene che le donne che impostano la loro vita sulla carriera spaventano gli uomini, che sentono messa a repentaglio la loro mascolinità, il loro naturale istinto di supremazia; di contro un fine pensatore della scena italiana, in un articolo ‘fuori stagione’, inconsapevolmente risponde alla provocazione descrivendo la dolce e remissiva disponibilità di molte donne sudamericane che esercitano la professione di assistenti sociali, all’interno di case d’appuntamento nei tanti paradisi del turismo.

Il filo comune della discussione sono ovviamente le donne, donne troppo ricche che fanno sentire gli uomini non a loro agio, donne troppo povere per potersi permettere di fuggire a situazione di vera e propria umiliante sottomissione. Mi sembra superfluo proseguire nei luoghi comuni: gli uomini hanno paura di prendersi delle responsabilità, o le donne italiane sono diventate troppo pretenziose; gli uomini vogliono la moglie che stia a casa e si prenda cura di loro, quando stanno male, mentre, sfoggiano l’amante in giro come un trofeo di caccia.

Quando si cerca di dare una descrizione del rapporto ideale tra uomini e donne ricordo solo volentieri la profonda saggezza di Massimo Troisi: uomini e donne sono le persone meno indicate per stare insieme.

Ognuno alla ricerca di un ideale che quanto più si scosta dalla realtà tanto più allontana i due mondi.

Però in tutti questi anni di vita, ho acquisito almeno una certezza. So quale aspetto della donna spaventa e terrorizza gli uomini: i piedi freddi a letto, tipici delle notti invernali.

P.S. Non conoscevo l’esistenza dell’articolo che narra di donne molto disponibili e molto tettute, ma per motivi che non posso raccontare, sono stata chiamata dal mio direttore, insieme alla sua segretaria, e ho dovuto subirne la lettura. Premesso che non si trattava di molestie sul posto di lavoro, e premesso che mi sarei dovuta in qualche modo occupare dell’articolo stesso, ho ascoltato la lettura non senza un certo senso di disagio, gli argomenti erano affrontati senza perifrasi, e non sapevo bene se ridere o rimanere seria, perché al momento non riuscivo a percepire se l’articolo indisponesse o compiacesse il lettore.

Neppure troppo sconcertata dai commenti del dopo lettura (ormai avevo capito il senso di compiacimento del lettore), sono tornata alla mia postazione, ma carica di dubbi dopo qualche minuto sono andata a cercare la segretaria, per chiederle se lei avesse capito il messaggio subliminale: devo farmi le tette più grandi o la mia carriera deve puntare ad altri lidi?


martedì 23 ottobre 2007

Un tranquillo viaggio di paura


Credo che la chiusura delle edicole nelle stazioni andrebbe sanzionata per le legge.
Fa parte delle azione abituali: scaricare il bagaglio dalla macchina, salutare, controllare il binario d’arrivo, incursione all’edicola per fare la spesa di giornali e riviste. Leggere in treno è l’unico rimedio per vincere la noia del viaggio. E trovare l’edicola chiusa per ‘RISTRUTTURAZIONE’ predispone male, getta le basi per un viaggio che si preannuncia sfortunato.
Ma, oltre all’assenza di un giornale da leggere nelle tante ore di forzata staticità, che cosa potrebbe rendere un lungo viaggio in treno ancora più pesante? Condividere lo spazio dello scompartimento con una famiglia proveniente dal paese del sol levante.
Da principio era solo una sorridente geisha, con uno zaino che copriva la luce, del sole e dell’illuminazione artificiale, e un trolley simile a un armadio quattro stagioni, che chiedeva se questo era lo scompartimento 11. Ma da lì a poco ho avuto l’esatta percezione che il viaggio non sarebbe stato per nulla noioso, infatti da dietro lo zaino comparirono due bambini di forse 4-5 anni e un marito con un bagaglio se possibile ancora più grande della consorte.
Il primo problema ovviamente è stato quello di sistemare i bagagli, impossibile dato il loro ingombro lasciarli in corridoio, molto difficile sistemarli sulle nostre teste. Dopo diversi inchini di scuse, dopo aver scalato più volte i sedili nell’intento di sistemarli negli appositi spazi, dopo breve consiglio familiare, hanno optato per la seguente soluzione: zaini sulle nostre teste, valige collocate davanti alla porta del bagno.
Risolta la situazione con una strategia vincente (l’accesso al bagno era impossibile) ha avuto inizio l’avvincente partita a scacchi delle collocazioni dei posti a sedere: prima da un lato madre e figlia, dal lato opposto padre e figlio, esaminato il contesto, hanno ritenuto che la disposizione fosse sbagliata, quindi hanno optato per i due bambini vicini con i genitori di fronte. Ritenuta anche questa mossa sbagliata, soprattutto perché i due piccoli visi gialli erano vicini a me, hanno pensato di mettere il babbo con la bambina, e la mamma con il pargolo; intanto il mio sguardo assente vagava fuori dal finestrino, ma come una spia russa grazie un sapiente gioco di specchi e riflessi tenevo la situazione preoccupantemente sotto controllo. Le due piccole cavallette gialle iniziarono a saltare sui sedili polverosi del treno, e come scimmie si arrampicavano sui porta pacchi sopra le nostre teste invertendosi di postazione con doppi salti mortali nel vuoto dello scompartimento.
I genitori sembravo piacevolmente compiaciuti e fieri della preparazione atletica dei figlioli, pronti a sostenere la parte delle controfigure di Kill Bill parte terza.
Ma saggezza popolare dice: “un bel gioco dura poco” e le due splendide creature consci di sì tanto sapere decisero che era arrivato il momento di togliersi le scarpe e lanciarle in aria, scegliendo come bersaglio o gli zaini o loro stessi.
Sembrerà incredibile a credersi ma gli ameni giochino erano accompagnati da allegre canzoncine degne di un impianto di amplificazione da discoteca.
La mamma leggermente infastidita dai rumori di sottofondo ha dato mandato al padre di intervenire, ma questo ha continuato a vedere i filmini delle vacanze e a fare fotografie alla carrozza del treno (forse erano spie che volevano copiare le nostre infrastrutture).
Minimamente intimoriti dalla severità dei genitori, i bambini hanno continuato a dare libero sfogo a tutto il repertorio canoro e ginnico. Per l’ora della merenda la mamma ha aperto una confezione di frutta disidratati che i bambini dal chimono d’oro hanno mangiato un po’ schifati, ovviamente senza interrompere la loro ipercinesia, lasciando tanti piccoli pezzi di frutta zuccherosa appiccicati alle poltrone e ai poggia testa.
Devastato a sufficienza lo spazio a loro disposizione, il campo di battaglia si è spostato nel corridoi: i seggiolini, quelli a molla, si sono trasformati in basi di lancio per salire sul poggia-mani del finestrino e fare dei veri e propri agguati alle persone che avevano la sventura di transitare nel corridoio.
Mentre la madre ogni tanto gettava un occhio ai bambini e provava anche a comunicare con loro, ricevendo per tutta risposta dei suoni simili a il soffio di un cobra, il padre si rendeva utile come una foglia di spinacio tra i denti, continuava con la sua aria da ebete a vedere tutti gli schermi che aveva a disposizione, cellulare, telecamera, macchina fotografica.
Penultima fermata, all’arrivo mancava poco meno di un’ora, io ero veramente stanchissima, e terrorizzata che saltassero sopra sia a me sia al mio modesto bagaglio. Stranamente mi rendo conto di un momento di silenzio e ho tanto sperato che il jet lag avesse fatto il suo corso, mi giro lentamente sperando di vederli catalettici i nei loro posti, ma i posti sono vuoti, mi rigiro verso il finestrino, mia unica via di fuga, e con la coda dell’occhio li vedo vicini, troppo vicini, alla leva del freno. Mi alzo e urlo con tutta la voce che riesco a tirare fuori, uno si spaventa e cade, l’altro invece allunga la mano verso quella leva dal colore così invitante. La madre con un balzo degno di Bruce Lee salta da seduta e con uno slancio della gamba tira giù la bambina prima dell’inevitabile.
Entrambi i bambini subiscono una punizione degna di un kamikaze della Marina Imperiale Giapponese, la mamma percuote con forza la mano di entrambi, e la mano deve rimanere, per tutto il periodo della punizione, bene aperta davanti a loro; ma l’umiliazione più pesante consiste nell’essere presi per il naso; prima uno poi l’altro subiscono sconcertati una tirata di naso.
Solo dopo qualche minuto, per evitare di incorrere anche io nelle punizioni materne, alzo gli occhi, e guardo il bambino che seduto davanti a me mi scruta con gli occhi fissi e carichi d’odio, e mi soffia con disprezzo. Speriamo che da grande non voglia mettersi alla ricerca di colei che osò umiliarlo durante un viaggio in treno, per consumare la sua vendetta.

lunedì 15 ottobre 2007

Cena aziendale



In questi giorni mi è capitato di partecipare a una cena aziendale, ovviamente si è trattato della cena organizzata dall’azienda per la quale lavoro.
Quando mi fu proposto l’invito, risposi con un sibillino “Ti faccio sapere domani” e dentro di me pensavo alla risposta negativa che avrei inventato l’indomani, tipo “Oh cara, mi dispiace tantissimo, non sai quanto ci tenevo, ma proprio domani sera devo andare dal medico per una visita al cuore, che mi hanno anticipato all’improvviso, perché il cardiologo che segue il mio rarissimo problema, sta per morire e così ha deciso di vedere tutti i suoi pazienti, nel tentativo di salvargli la vita, anche i fine settimana, e nelle ore serali e notturne” o forse molto più semplicemente riesumare uno dei tanti zii, o parenti che ho fatto morire diverse volte nel corso della mia esistenza, per improvvisare un altro funerale, proprio per il giorno e l’ora della cena: “Sai era una persona che amava la vita notturna, e ci teneva così tanto dare l’estremo saluto proprio dopo cena”.
Poi discorrendo con un collega, mi sono resa conto che sempre ho declinato i vari, anche se pochi, incontri conviviali proposti dall’azienda; mi è stato, inoltre, sempre nella stessa discussione, fatto notare che ho un atteggiamento molto snob e questo atteggiamento non è ben visto dalla corte di nani, ballerine e cantanti (ecco perché il mio stipendio è congelato da tempo immemore senza speranza di essere tirato fuori dalla cella del freezer)….
Così mi sono fatta coraggio e ringraziando in maniera vistosa, e dal mio punto di vista vistosamente finta, il giorno dopo ho chiesto “Che bello sono riuscita a liberarmi, così potrò essere dei vostri, mi mandi l’indirizzo preciso del ristorante?”.
Nonostante la sera abbia sempre una fame pari a quella di tre individui maschili adulti, la sera della cena aziendale avevo lo stomaco chiuso, e anche un leggero senso di nausea; mi è balenato in mente di fargli arrivare un certificato medico nel quale si dichiarava che avevo avuto un attacco improvviso di allergia a tutti i tipi di cibo presente sulla faccia della terra, ma ormai mi ero esposta.
Con estrema fatica mi sono preparata senza troppo pensare cosa indossare, e con la morte nel cuore mi sono avviata.
E’ che alle cene aziendali di cosa posso parlare? Di lavoro ovviamente. E che palle!!! Già tutti i giorni si passano 10 ore della propria vita al lavoro, e la sera, quando si vorrebbe parlare d’altro, pensare ad altro... ancora la testa sul lavoro. Ma la cosa che mi fa propendere sempre per defilarmi da queste iniziative, è la finta atmosfera di 'grande famiglia' che si crea durante la cena.
Conscia che per tutto il corso della cena devo tenere paralizzati i muscoli facciali per avere un soave e finto sorriso da ebete sulle labbra, secondo me le più smaliziate ricorrono sicuramente a iniezioni di botulino prima di uscire da casa. E se non bastasse, la muscolatura del collo e delle spalle sarà sottoposta a un continuo movimento forzato, quello indispensabile per annuire a tutte le cazzate che saranno sparate con lo stesso ritmo dei botti di fine d’anno, ma soprattutto devo stare attenta ai tempi comici delle battute. I primi tempi avevo difficoltà a capirli, però l'esperienza mi ha insegnato a rimanere seria quando mi verrebbe da ridere, mentre nel momento in cui sento salire la tristezza e il magone è il tempo di ridere.
Alla cena aziendale, tutti sembrano amici, si ricrea un’atmosfera fanciullesca simile alla gita scolastica, e come nelle gite scolastiche si fanno le battute con i parigrado chiamandoli ‘confidenzialmente’ solo per il cognome, mentre i professor, ossia i dirigenti, si dimostrano oltremodo disponibili e comprensivi (bastardi solo tra le pareti dell’ufficio fanno i cani da guardia) non chiamando i dipendenti né per nome né per cognome, non avendo la più pallida idea né dell’uno né dell’altro (il riferimento è a una realtà aziendale di circa 70 dipendenti).
Capita di dover spezzare il pane e versare il vino a colleghi con i quali scambi al più il buongiorno la mattina, assaporare fantasiose composizioni di arte culinaria per finti ricchi con persone che continuano ad alzare i bicchieri sempre con il dito mignolo alzato, e senti tanto freddo dentro e pensi con la lacrima agli occhi agli amici che si stanno divertendo e sorseggiano una birra al bar… così il più delle volte la cena si svolge nel silenzio più imbarazzante, tra rumore di posate sul piatto e di inutili brindisi “A tante cene come questa” “A una splendida serata”.
Fortunatamente il fine settimana resetta tutto, e il lunedì in ufficio torna tutto come prima, una continua lotta alla sopravvivenza, facendo attenzione a evitare i soliti pugnali avvelenati.

mercoledì 10 ottobre 2007

Conti in tasca




"Fare i conti in tasca" è un'espressione tra lo stizzoso e il polemico; e in genere quando si fanno i conti in tasca a una persona è per criticarne successivamente le scelte economiche, il modo d'agire.
In questi giorni, si stanno facendo i conti in tasca agli italiani, governo, politici, Istat, giornalisti, tutti si sentono in diritto di dire la loro.
Ben vengano analisi di questo tipo. Ma almeno questi conti in tasca li facessero correttamente, senza sparare numeri, più utili da giocare al lotto, che a descrivere una situazione reale.
La soglia (che termine delicato, indolore, anche se sarebbe più appropriato baratro) della povertà per l'Istat è poco più di 900 euro per una famiglia composta da 2 persone; in parole povere secondo l'Istat 2 persone riescono a vivere con 900 euro al mese.
Tra le proposte, ho letto anche di sgravi di qualche decina di euro, per quei giovani che oseranno andare a vive fuori dal nucleo familiare di origine (ovviamente il contratto d'affitto per ottenere questo piccolo rimborso dovrà essere registrato, ma questa è un’altra storia).
Io, con il mio stipendio che è qualcosa di più di 900 euro, in alcuni mesi, arrivo alla fine con l’acqua ben oltre la gola, soprattutto, quando all’affitto, che ovviamente devo condividere con altre persone, si aggiungono bolletta della luce, controllo dal dentista, assicurazione del motorino.
Non serve un premio nobel per fare 2 conti.
L’affitto di una casa, in una grande città, in zona periferica, può variare da 800 a 1000 euro, per casa si tratta di una tipologia con 2 stanze, cucina quasi abitabile, bagno. Non si entra nel merito delle finiture perché, i miei occhi sono riusciti a vedere cose che voi umani…., un esempio che vale per tutti: un paio di anni fa stavo cercando casa e mi è stato proposto un appartamentino, zona estrema periferia povera, con la cucina che era anche l’entrata, e conteneva tutti i possibili mobili dimessi dopo anni e anni di usura, la camera da letto aveva un armadio senza un’anta, un paio di materassi con macchie stratificate di vari liquidi fisiologici, appoggiate su quelle che ho sempre sentito chiamare reti. Ma splendore tra gli splendori il bagno che per vederlo bisognava entrare uno alla volta, che nei miei scarsi 50 kg avevo problemi a rigirarmi mentre il padrone di casa è rimasto completamente incastrato, che per fare la doccia ci si doveva sistemare sul cesso, che quando si andava al cesso bisognava accertarsi che la doccia fosse ben chiusa. Affitto: 700 euro escluse le spese (l’importo dei 700 euro era giustificato perché considerato un appartamento per due persone).
Eravamo rimasti agli 800-1000 euro per l’affitto (senza contratto) di un appartamento per due persone
Condominio: 80 euro al mese
Elettricità: sui 100 euro al bimestre
Gas e acqua: 100 al bimestre
Telefono (sebbene i primi tempi ho cercato di farne a meno, alla fine ho ceduto): altri 80 euro a bimestre
Abbonamento ai mezzi pubblici: 30 euro al mese
Spesa alimentare settimanale: 25/30 euro.
I conti sono presto fatti 1100- 1300 al mese.
In questo importo non ho calcolato: un eventuale canone tv, l’acquisto di un giornale una tantum, una cena in pizzeria, un cinema al mese, e tutte quelle altre spese più o meno voluttuarie che un essere umano ogni tanto potrebbe avere la necessità di affrontare.
Si ritorna ai famosi 900 euro al mese di partenza, che segnavano la soglia della povertà. Come è possibile dire che 900 euro possono essere sufficienti per vivere, con qualche rinuncia?


A volte, penso che morirò barbona sotto un qualche ponte, in una piovosa giornata autunnale, dopo aver speso più di quanto guadagno, e aver intaccato i miei miserrimi risparmi.
Altre volte, ho la certezza che la generazione alla quale appartengo è riuscita, non si sa bene come, ad essere molto più povera di quella dei propri genitori e forse anche dei nonni (o gli anni ottanta e novanta sono stati solo un sogno?)
Spesso, facendomi i conti in tasca, mi viene da chiedere se l’attuale insicurezza economica costellerà tutto l’arco della mia esistenza.
Alcuni miei colleghi, dopo questi colpi di sole, hanno pensato di investire il loro TFR, e affidare il loro futuro al superenalotto e al totocalcio. Molto più sicuri.