lunedì 23 febbraio 2009

La classica italia a due velocità

Sono una patita di rapporti, sondaggi, dati e percentuale (i numeri sono neutri non sono di parte) e stamani mi è capitato di leggere velocemente un titolo sul malcontento dei milanesi nei confronti dei mezzi pubblici.
Premesso che non sono una partigiana della metodologia milanese contro quella romana, premesso che reputo roma una bella città tenuta molto male e milano una città meno bella tenuta però molto bene, e premesso anche che da oltre dieci anni vivo a roma e quindi qualcosa del traffico e dei mezzi pubblici della capitale, non fosse altro per le tasse che pago al comune, sono autorizzata a dire, mi fa sorridere il giudizio impietoso che i cittadini della madonnina hanno dato ai loro servizi pubblici. I voti più bassi sono stati dati alla sicurezza contro il rischio furti (4,6) seguito da affollamento e pulizia (un 4,8 per entrambe). Quasi sufficiente (5,6) invece la puntualità.
Ho pensato allora alla normale e sfigatissima giornata di un romano
1) che non solo deve aspettare l’autobus per tempi paragonabili ad ere geologiche (perché il traffico ferma tutto; perché il tizio è andato a fare colazione al bar e già che c’era ha giocato anche la schedina, lasciando la macchina parcheggiata in modo da fermare non solo l’autobus ma anche le macchine; perché passano sempre gli autobus che non servono a quasi nessuno; perché …),
2) ma trova autobus e metro sempre pienissimi (credo che l’ultima proposta da prendere in considerazione sia la soluzione indiana: passeggeri sul tetto),
3) se va bene nella settima pari non gli viene rubato il portafoglio e i documenti (i ladri avranno comunque modo di rifarsi nella settimana dispari),
4) e che grazie all’atac si vede irrobustire le proprie difese immunitarie (si dice che dentro alle bottigline in plastica rinforzanti ci sia una ricetta segreta proveniente dalle metro e dagli autobus delle capitale).
I viaggiatori strizzati negli autobus, ovviamente in ritardo, si lamentano un po’, provano a protestare, i più audaci alzano la voce e minacciano lettere ai giornali e al sindaco, poi rassegnati e con lo spirito del “che ce potemo fa’”, scendono stropicciati alla loro fermata e danno inizio a un altro giorno di guerra.

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