Ho scritto, essemmessato, detto più o meno a tutte le persone che in questo periodo hanno percepito una mia latitanza, che questi sono giorni di fuoco. Di fuoco!?, che cazzata. Però in certi momenti è facile cadere nel banale. Forse ho associato un mio stato d’essere più movimentato a un caldo improvviso, e per crasi sono venuti fuori i giorni di fuoco.
Ieri ho dato le dimissioni volontarie, così si chiamano da gennaio 2008, dall’attuale posto di lavoro, per iniziarne uno nuovo, bla, bla, bla, bla. Ovviamente l’ambiente è piccolo e la gente mormora e in capo a 15 minuti tutti sapevano delle tre firme apposte sul modulo di dimissioni. E così è iniziato, un lento e costante pellegrinaggio nell’ufficio, ognuno a portare un suo piccolo contributo; un pò come si fa sulla salma del caro estinto: “era proprio una cara persona!”, “sono sempre i migliori ad andarsene per primi”.
Comunque, premesso che lo zoccolo duro, gli zappatisti, il movimento sin terra, sapevano della cosa in anteprima, ho metodicamente preso nota delle banalità regalatemi prima della mia partenza:
“ si chiude una porta si apre un portone” – non è che vado a lavorare in una falegnameria
“ mi dispiace, ma sono felice per te” – aspetta, aspetta, in tre anni mi hai salutato 10 volte
“ chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma….” – un ottimismo che incoraggia
“ ritornerai” – minaccia?, affermazione?, mai tornare indietro neanche per prendere la rincorsa
“ e dov’è che andresti?” - acida
“ sai quanto ti ho sempre stimato, mi raccomando se trovi qualcosa adatto a me, contattami”
“ sulla carta i lavori sembrano sempre migliori, poi bisogna scontrarsi con la realtà” – parente dell’ottimista di qualche riga sopra
“ ah, sì” – tipo di poche parole
“ ma è da tanto che stavi cercando?”
“ e perché non mi hai detto nulla?” – mania di onnipotenza
L’intensità del momento non può che concludersi con “niente fiori solo opere di bene”.
giovedì 29 maggio 2008
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