venerdì 23 novembre 2007

La maledizione del dialogo colpisce ancora




Ho preso in prestito il titolo di questo post da un articolo nella prima pagina del Riformista di oggi.

La mia passione per i dialoghi risale all’infanzia, quando mi trovavo costretta a leggere libri che non avevo scelto, ma mi erano stati imposti, e trovavo nel dialogo una boccata d’ossigeno, la parte più interessante, graficamente meno soffocante, e dinamica del libro.
Dialogare in fondo è parlare, comunicare, confrontarsi.
Nel dialogo esistono regole non scritte che i dialoganti stabiliscono da subito, dai primi sguardi, dalle prime battute si ha l’esatta percezione di dove si andrà a parare: se il dialogo sarà di pari livello, tra persone che hanno voglia di dare e ricevere; se il dialogo avrà una valenza prevaricatrice, tipico degli individui che amano ascoltare le proprie parole e la propria voce, o delle persone arroganti che non lasciano spazio; se il dialogo sarà una conversazione muta (immagino che riportato su un foglio di carta il dialogo muto sarebbe un ottimo incentivo alla lettura: pagine e pagine bianche). Però se è vero che del dialogo muto non si può scrivere, sul dialogo muto si può discutere.
Il dialogo muto è la più subdola e frequente forma di comunicazione, proprio così di comunicazione, adoperata in molti posti di lavoro.
La classe più colpita è quella dell’impiegato generico, di qualsiasi settore e dipartimento, cioè quel tipo di lavoratore che usa il computer e la posta elettronica nell’espletamento delle sue quotidiane attività e incombenze. Il sesso e l’età non sono rilevanti, in quanto sono colpiti indiscriminatamente
con la stessa incidenza donne, uomini, giovani e non più giovani.
I primi segnali che indicano l’affezione da dialogo muto sono sensoriali: nella stanza si odono solo sospiri, qualche sussurro, lallazioni o suoni gutturali, ticchettii frenetici e nervosi, matite battute ritmicamente sulla scrivania, e nel contempo scompare l’uso delle parole, del dialogo. Visivamente pervade un colore grigiastro, stampato sulle facce delle persone, con tanto di emiparesi e tic nell’area della bocca.
Il dialogo muto prevede la completa inibizione di una libera circolazione delle informazioni, di uno scambio.
La risorsa umana si riduce a dare e ricevere informazioni via email, e non per un qualche editto direttoriale, interdirettoriale, reale, ma semplicemente per un atteggiamento di paratio culis.
“con questa mail ti informo dell’andamento…” “volevo metterti a conoscenza di quanto deciso…” “si rende noto che...” “si avvisano tutti i dipendenti…” “ i lavori da fare entro la settimana sono…”.
Ma che cavolo, si sta a un metro l’uno dall’altro, ci si sottrae l’aria di piccole stanze degne di allevamenti di polli in batteria, si passa più di 1/3 della giornata come in fragili barchette esposte ai flutti dell’oceano, si condividono odori da quello del panino a quelli fisiologici molto meno piacevoli, si conoscono tutte i problemi di diarrea del bambino, di stitichezza personali e le corna messe al partner, ma nessuno usa più le corde vocali per parlare di quello che si sta facendo di quello che si deve fare sul posto di lavoro. Non una parola, come se comunicare a voce fosse una cosa sconveniente.
Meglio affidarsi alle mail, con tutte le sue infinite possibilità, dal cc al ccn.
Silenzio parla intranet.

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