Sabato pomeriggio, ero per le vie del centro con un amico, passeggiando e chiacchierando, senza una meta precisa, poi, tra un passo e un altro, ho notato più traffico pedonale del solito e tante buste eleganti e colorate, molte più abbondanti di un solito sabato pomeriggio, portate a spasso per la città.
Come ho fatto a non pensarci prima, è iniziato la corsa allo shopping natalizio.
Mi chiedo da quando si è iniziato a parlare di shopping, qual è stato l’evento scatenante che ha introdotto questa nuova parola, e di conseguenza anche l’idea?
Non ricordo che mia madre mi abbia detto: “Oggi sai che si fa? Si va fare shopping!”, anche con le mie amiche al massimo sono andata “a fare compere”.
E fare le compere era relegato a spazi temporali ben precisi, con cadenze più o meno stagionali: l’autunno per l’acquisto del necessario per affrontare l’inverno, e in primavera, quando si era più o meno legittimati a mettere nel “sacco per i ciechi” (chissà che cosa mai avranno fatto i ciechi con i vestiti smessi) le cose non più utilizzabili che potevano essere sostituite da nuove.
Altre buone occasioni per andare in giro per negozi era una settimana, al massimo due, prima delle feste, e per i compleanni.
Poi d’un tratto, l’acquisto di beni più o meno voluttuari è divenuto una vera e propria attività, una maratona, un impegno, una corsa a chi arriva prima, uno status, un lavoro. E ha cambiato nome, diventando shopping.
Questa trasformazione ha definitivamente segnato la netta separazione tra il passato, da quello che gli italiani erano stati prima, un popolo contadino e provinciale, e il futuro, un popolo che resta solo provinciale.
Non esistono più i riti legati all’acquisto di un prodotto, la necessità è stata soppiantata dall’avere, dal possedere, negozi e supermercati si sono trasformati in centri di sostegno psicologico, luminosi e accoglienti prozac che allontanano per un pomeriggio, una giornata, gli altri malesseri che ci portiamo dentro.
Ogni giorno, ogni ora libera sono un giorno e un’ora sprecati se non sono dedicati allo shopping, che è diventato il segno distintivo tra chi ha e dunque è, e chi non ha e non potrà mai essere.
Ma in fondo come diceva qualcuno: “meglio piangere in una mercedes, che essere triste a piedi”.
martedì 27 novembre 2007
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