venerdì 8 febbraio 2008

Commesse




Che i film siano quanto di più lontano dalla realtà è un’affermazione che non cambierà il fine settimana a nessuno, se non il mio.
Avevo adocchiato un paio di pantaloni in vetrina da un po' di giorni, poi era successo che un giorno ero rimasta senza soldi, un altro ero di fretta, e ho dovuto sempre rimandare l'acquisto.
Tutte le mattine che passavo davanti alla vetrina e il negozio era ancora chiuso mi convincevo di quanto avrei desiderato farli miei. Quando finalmente due sere fa, si è verificata la condizione ottimale, tempo + soldi, e mi decido a oltrepassare la soglia, pensando che sono proprio belli. Chi non apprezza la Kinsella non potrà mai capire il senso di vertigine che una donna prova nell’atto dell’acquisto di un qualsiasi bene voluttuoso.
Chiedo alla commessa che mi viene incontro abbronzantissima di poter provare quel paio di pantaloni esposti in vetrina, mi lancia un’occhiata plicometrica e mi fa sapere che è rimasta solo una 44, che però veste poco, altrimenti della mia taglia c’è uno splendido colore dissenteria.
No!!! Che disdetta. Disperazione.
Con fare abbastanza gentile, ma con quell’aria da stronza di chi la sa lunga, mi consiglia di provarla ugualmente, perché ribadisce che veste poco. Di solito, un po’ per orgoglio ma soprattutto per non vedere la faccia compiaciuta della commessa che sembra dire cara mia l’età avanza e il culo cresce, non provo mai taglie che non mi competono, ma forse le congiunzioni astrali quella sera mi hanno voluto mandare un messaggio, e con la morte nel cuore sono entrata nel camerino.
Mi vanno bene, mi vestono perfettamente, nel giro di un aprire e chiudere la porta di un camerino, sono diventata una 44. Mi guardo allo specchio non mi vedo più grassa, sono più o meno la stessa, i dolci di carnevale e ancor prima quelli di natale mi hanno lasciato un po’ più morbida, ma non certo di 2 taglie. Con le lacrime agli occhi, per puro masochismo, per segnare sul calendario l’inizio della catastrofe mi dirigo verso la cassa decisa a compiere l’estremo atto dell’acquisto, però mi è passata tutta l’euforia e la leggerezza che sentivo prima.
Con passo mesto esco e decido che l’unico modo per tirarmi su è acquistare qualcos’altro, possibilmente di taglia non superiore al 42, una bella camicia di seta, da mettere sui pantaloni e non solo, potrebbe aiutarmi in un momento di così profonda disperazione.
Cammino veloce sperando che nei pochi metri per arrivare all’altro negozio si riattivi la circolazione e si brucino tutti i grassi di troppo, vana speranza, però è un modo come un altro per aumentare la fiducia in se stessi.
Qui la commessa è, come dicono da queste parti una madre di famija, una presenza rassicurante, che non può pugnalarti alle spalle. Chiedo quasi con le lacrime agli occhi di vedere una camicia lilla dello stesso colore delle impunture dei pantaloni, che estraggo dalla busta. Ricevo dei complimenti per la precedente scelta, lo so ho sempre avuto gusti soprafini, e anche questa volta non sono stata da meno, però sono diventata una dozzinale 44.
Con occhi esperti, cioè di chi sa dove andare a guardare, controlla la taglia sul passante interno per regolarsi sulla disponibilità di camicette lilla, vorrei dirle di essere clemente, che finito il carnevale mi metterò a dieta, appena le giornate si faranno più lunghe, nei giorni pari, andrò a correre al parco, ma mi precede con parole che scatenano in me una gioia irrefranabile, che vorrei saltarle addosso e riempirla di baci d’affetto; “beh con un 40 guardiamo una S”. Un 40, 4 e 0, non 4 e 4. Ho paura a controllare, temo di aver avuto un miraggio acustico. E invece no, sono proprio un 40, alla faccia della commessa abbronzantissima e analfabeta.

P.s.
Odio, quando chiedo di provare un vestito e la commessa con una vocina nasale e garrula, urla "Ti sta benissimo" "Ti cade perfettamente" quando ho la certezza che il gobbo di Notre Dame sia più aggraziato. Bugiarda. Per quanto abbia scoperto di recente di essere astigmatica, riesco a vedere e giudicare cosa mi sta bene e cosa mi sta da schifo.
Odio, dopo aver espresso una scelta cromatica, che mi si risponda "Quest'anno il blu non è di moda; il rosso è il tuo colore", se voglio essere fuori moda, o indossare un colore che mi sbatte, ho tutto il diritto di farlo. Un semplice l'abbiamo finito è più apprezzato.
Odio gli sguardi di commiserazione e l’aria di superficialità con la quale scrutano quello che indosso, questo avviene soprattutto nei posti da prezzo minimo 100 euro, se decido di vestirmi con gli abiti presi dal sacco dei ciechi sono fatti miei.

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