Ho sempre paragonato la mia famiglia, quella dalla quale provengo e l’unica che abbia considerato tale, a una famiglia di piante grasse, o meglio a tanti piccoli vasi di cactus.
Non riusciamo a stare troppo vicini, perché rischiamo di farci male l’un l’altro, di pungerci con le spine. Abbiamo dei caratteri molto individualisti, quasi solitari, e sembra che ognuno viva bene solo all’interno del proprio spazio, che deve essere il più ampio possibile e fisicamente separato. Però nella lontananza, ciascuno a modo suo sente nostalgia e senso di appartenenza.
Sinceramente non so se anche nelle altre famiglie sia così. Negli anni della mia personale contestazione adolescenziale, da qualche parte avevo letto una frase che poi feci mia, nell’intento di fare del male ai miei genitori e a quelli che mi stavano intorno. La frase che a caratteri cubitali avevo scritto nel mio studio in modo che tutti avessero ben chiaro quale fosse la mia opinione, dopo un primo momento destabilizzante, non sortì l’effetto sperato, così via via perse nitidezza, e fu dopo una delle imbiancature periodiche sepolta nelle memoria delle pareti domestiche. E così insieme alle mani stampate e all’arte preverbale dell’asilo, ai murales educativo-pedagogici delle elementari, ai cuoricini dei primi scombussolamenti ormonali delle scuole medie, sotto strati di intonacato è conservato anche il periodo rivoluzionari con: la famiglia è ariosa come una camera a gas.
Altro che piante grasse!!
lunedì 25 febbraio 2008
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