Sono passati 50 anni dalla messa in commercio della prima Barbie, e altre tanti anni sono passati dall’invasione cinese del Tibet.
Il 9 marzo del 1959 venne presentata alla fiera del giocattolo di New York come “un nuovo tipo di bambola dalla vita reale”. Capelli biondi e lisci, occhioni azzurri, naso perfetto, bocca rosa e voluttuosamente socchiusa, gambe lunghe senza cellulite e glabre, tette di marmo, anzi di plastica, dotata di un guardaroba invidiabile, ville, palazzi, piscine, macchine, e un fidanzato inutile e dall’espressione un po’ cretina.
Un giorno dopo, il dieci marzo del 1959, il Tibet insorse contro l’invasione e l’occupazione militare della Cina, iniziata un decennio prima. La ribellione fu repressa duramente e a seguito dei fatti il Dalai Lama fuggì in India a Dharamsala. Cinquant'anni che hanno visto il genocidio di più di un milione di tibetani e l’esodo di 100 mila persone che hanno seguito la loro guida spirituale. Ogni anno dal Tibet scappano 1.500 bambini, da 0 mesi a 18 anni: una fuga di 30 giorni attraverso l’Himalaya, ad altezze quasi di 6.000 metri. I neonati e i bambini più piccoli vengono portati sulle spalle dei più grandi e durante il tragitto può succedere che i soldati cinesi gli sparino addosso. Questi bambini sono i figli dei tibetani perseguitati politicamente che non vogliono abbandonare il proprio paese, e i genitori per salvargli la vita sono costretti ad affidarli, sotto un compenso di 6.000 rupie, ad alcune guide che li scortano fino al confine con l'India. A causa delle terribili condizioni di viaggio i bambini che arrivano presentano, problemi respiratori, dermatiti, malattie infettive. A Dharamsala, in India, vengono accolti in un improvvisato centro medico, dove sono sottoposti ad un check-up generale, i casi più gravi vengono ricoverati mentre gli altri sono accolti in case-famiglia.
Chissà se le bambine tibetane hanno mai desiderato una Barbie?
lunedì 9 marzo 2009
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