domenica 27 gennaio 2008

Giorno della memoria

Oggi nel giorno della memoria vorrei ricordare mio nonno materno, il nonno Ciccà.

Il nome che l’ha apostrofato sino all’ultimo dei suoi giorni, Ciccà appunto, era il nome che gli fu dato da partigiano, l’altro nome era Bruno. Però come Bruno non lo conosceva nessuno, neanche le sue nipoti, io e mia sorella, per noi è stato e sarà sempre nonno Ciccà.

Forse, avrebbe preferito un nipote maschio per trasmettergli il lavoro che esercitò, con tanta passione, quello di idraulico, invece ebbe me, che quasi tutti i giorni, dopo la scuola, lo raggiungeva in officina e, con l’impegno tipico dei bambini, provava ad applicarsi ma con scarsi risultati, facendo più danni che altro.

D’inverno, in officina faceva freddo e stavamo davanti a una stufetta a carbonella a riscaldarci e a parlare, mi raccontava dei suoi lavori, dei miei bisnonni, della guerra; d’estate invece, fatta una certa ora, usciva dall’officina e andava all’osteria di fronte casa a giocare a carte e bere vino, attività che amava in ugual misura. L’osteria non era certo un posto per donne e tanto meno per bambine, però io ero autorizzata a frequentarla in virtù del fatto che ero la nipote di Ciccà, ma giusto per il tempo di stare un po’ alle sue spalle e vedere le carte che aveva in mano e di prendere il gelato per me, per mia nonna e mia mamma.

Il nonno Ciccà non aveva la macchina, si spostava solo con la moto guzzi, e più tardi, quando divenne più vecchio, con la vespa bianca, credo che questo suo prediligere le due ruote, anche sotto la pioggia “tanto c’è il parabrezza” fosse una scelta di vita, quel tipo di scelte che ti portano a percorrere le strade meno facili.

Era bello starlo a sentire quando raccontava della guerra, si vedeva che aveva creduto in un ideale, e, per questo ideale aveva scelto la famosa strada meno facile, era andato sui “monti” con i partigiani. Ascoltarlo mi faceva vedere le scene delle loro camminate sui monti, il nascondersi, vivere alla macchia, attraversare la linea gotica, e poi mi diceva di quando la casa della nonna, allora non ancora sua moglie, era stata occupata dai tedeschi, e lei aveva dovuto ritirarsi al piano di sopra con il fattore sua moglie, e suo nonno, e lui era molto preoccupato a saperla laggiù.

Il nonno Ciccà dovette rifugiarsi per un periodo in Francia, di questa storia è rimasto il nome francese che poi, a guerra finita, dette a mia mamma.

E’ morto che avevo dodici anni, quindi i suoi racconti sono un po’ sfumato, vaghi (a volte ho paura di perderli, di dimenticarne i particolari); quello che invece ricordo è che il nonno non ha mai parlato della guerra per vantarsi delle sue imprese, anzi in alcune occasioni i suoi occhi diventavano più lucidi e sembravano tenere per sé cose che gli avevano fatto male. Perché sono sicura che uccidere i nemici, anche se era la guerra, per persone come il nonno Ciccà sia stata una scelta dolorosa.

Il nonno Ciccà ha vissuto e combattuto per un ideale, per lasciare un mondo migliore a me e a mia sorella. Speriamo che qualcuno se ne ricordi sempre.

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