Tutte le mattine per arrivare in redazione attraverso a piedi una di quelle che sono definite zone più bella di Roma, il centro storico. Cammino a passo svelto sui sanpietrini, attraverso piazza della minerva, poi quella del pantheon, e mi faccio divorare da alcuni vicoli bui per riemergere in fine in una piazza luminoso. Tutte le mattina attraverso la zona più costosa d’Italia, forse anche del mondo, dove gli affitti o l’acquisto di un appartamento non è destinato ai comuni mortali, ma solamente agli dei dell’olimpo economico, politico, finanziari, giudiziario, mediatico, medico, imprenditoriale. La mattina ancora vuoto dalle invasioni turistiche, il centro storico è frequentato da giovani e algide madri, che sembrano uscite da una spa, che accompagnano bambini da copertina a scuola; da piccole donne orientali che in divisa azzurra e cappottone (ma solo in inverno) accompagnano bambini biondi o castani chiari a scuola, da signore bene che si spostano mollemente in bicicletta, da uomini con codazzi di scorta e questuanti, da uomini con divisa da manager e il cellulare già all’orecchio che si infilano in macchine dove l’autista è pronto a partire appena viene chiuso lo sportello, rigorosamente quello posteriore. Una scena d’un film, che dietro alle facciate della scenografia nasconde però il mondo reale un po’ diverso, da questo olimpo.
Tante mattine in questi scorci da cartolina e da fotografare mi capita d’incrociare anche dei cani a passeggio; cani grandi, cani piccoli, cani giocattolo, che dopo una notte chiusi nelle loro belle e costosissime case, hanno esigenza di dare sfogo alle loro evacuazione corporee: cacca e pipì. I cani, e gli animali, si sa seppur addomesticati, seppur giocattolo, seppur snaturati della loro peculiarità animalesca, sono artisti anarchici, che producono le loro articolate deiezioni nell’unico punto dove è possibile richiamare l’attenzione e a volte anche i piedi. Ho incontrato accompagnatori canini, dai lineamenti e dai colori decisamente non romani (delle umili comparse nel film dell’olimpo) raccogliere con pazienza e rassegnazione la cacca appena sfornata dai loro affidati, dai loro animali pro tempo. Le loro smorfie mortificate e schifate nell’atto della raccolta e della successiva deposizione in un cassonetto amplificano la sorte di un’esistenza che forse avrebbero sperato un po’ diversa da quella di un raccatta-cacca. Altre volte ho incontrato i cani accompagnati dai loro legittimi proprietari, riconoscibili per la stessa fisionomia dell’animale che tengono al guinzaglio, e da alcuni piccoli ma non indifferenti particolari: le signore sono solite indossano qualche gioiello in pendant (pan dan, per chi non ne sa di francese, ma capisce ugualmente il senso della parola) con il collare, e la pashmina della stessa fantasia del cappotto cinofilo. Con i proprietari i cani sono forse più ispirati o devono dimostrare che la cucina gourmet è ottima per il loro tratto intestinale, quindi la massa fecale depositata è ancora più abbondante e piazzata in più bella vista. Di questi proprietari residenti nell’olimpo non ne ho mai incrociato uno che si abbassasse (fisicamente, non moralmente) a raccogliere la produzione del proprio animale, chi si volta dall’altra parte con aria pensierosa come stesse sul punto di risolvere il teorema di Fermat, chi continua a parlare al cellulare, chi fa finta di nulla come se fosse stato immobilizzato dagli alieni, chi si guarda intorno per controllare quante persone stiano assistendo alla scena, chi guarda compiaciuto e vorrebbe avere la stessa regolarità, chi parla da solo a bassa voce come per recitare una formula magica che facesse sparire tutto. Ma la cacca resta lì, perché la cacca è cacca ma per qualcuno un po’ meno.
Tante mattine in questi scorci da cartolina e da fotografare mi capita d’incrociare anche dei cani a passeggio; cani grandi, cani piccoli, cani giocattolo, che dopo una notte chiusi nelle loro belle e costosissime case, hanno esigenza di dare sfogo alle loro evacuazione corporee: cacca e pipì. I cani, e gli animali, si sa seppur addomesticati, seppur giocattolo, seppur snaturati della loro peculiarità animalesca, sono artisti anarchici, che producono le loro articolate deiezioni nell’unico punto dove è possibile richiamare l’attenzione e a volte anche i piedi. Ho incontrato accompagnatori canini, dai lineamenti e dai colori decisamente non romani (delle umili comparse nel film dell’olimpo) raccogliere con pazienza e rassegnazione la cacca appena sfornata dai loro affidati, dai loro animali pro tempo. Le loro smorfie mortificate e schifate nell’atto della raccolta e della successiva deposizione in un cassonetto amplificano la sorte di un’esistenza che forse avrebbero sperato un po’ diversa da quella di un raccatta-cacca. Altre volte ho incontrato i cani accompagnati dai loro legittimi proprietari, riconoscibili per la stessa fisionomia dell’animale che tengono al guinzaglio, e da alcuni piccoli ma non indifferenti particolari: le signore sono solite indossano qualche gioiello in pendant (pan dan, per chi non ne sa di francese, ma capisce ugualmente il senso della parola) con il collare, e la pashmina della stessa fantasia del cappotto cinofilo. Con i proprietari i cani sono forse più ispirati o devono dimostrare che la cucina gourmet è ottima per il loro tratto intestinale, quindi la massa fecale depositata è ancora più abbondante e piazzata in più bella vista. Di questi proprietari residenti nell’olimpo non ne ho mai incrociato uno che si abbassasse (fisicamente, non moralmente) a raccogliere la produzione del proprio animale, chi si volta dall’altra parte con aria pensierosa come stesse sul punto di risolvere il teorema di Fermat, chi continua a parlare al cellulare, chi fa finta di nulla come se fosse stato immobilizzato dagli alieni, chi si guarda intorno per controllare quante persone stiano assistendo alla scena, chi guarda compiaciuto e vorrebbe avere la stessa regolarità, chi parla da solo a bassa voce come per recitare una formula magica che facesse sparire tutto. Ma la cacca resta lì, perché la cacca è cacca ma per qualcuno un po’ meno.
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